sabato 19 maggio 2018
Una grande scuola, piena di aule luminose e grandi spazi per leggere, incontrarsi, discutere. Ragazzi sicuri di sé, ragazze con i capelli lunghi scivolati sulle spalle. Attorno alberi e sole. Questa l'impressione per chi entra per la prima volta in questa costruzione, in un labirinto di strade e di case, che danno continuità a questa città di Roma che lentamente allunga le sue braccia nella campagna, distrugge orti e vigne ed alza palazzi alti con terrazze fiorite. La scuola media di questo anno porterà alla fine del corso la storia del Novecento. «Racconti lei che l'ha vissuto quel tempo» mi chiede una insegnante.
Come è lontano, pensai! Cosa dire, che siamo stati capaci di sparare gli uni contro gli altri in due feroci guerre? Che siamo stati costretti a seppellire i nostri morti in terre che non erano nostre e lasciarli nelle tombe fredde dei monti Carpazi o nel gelo delle rocce alpine dove nessuno le troverà mai? Come oggi spiegare la legittimità della difesa dei confini? Dove finiva il sopruso e il desiderio di prevalere su altri e dove aveva termine il giusto confine determinato dal tempo, dalle lingue, dalle tradizioni? E mentre raccontavo tutto questo pensavo alla mia giovinezza quando i treni camminavano piano, gli aerei appena superavano l'altezza delle prime nuvole con grande rumore, i tram cigolavano superando le curve nelle città. Della prima guerra del Novecento avevo sentito parlare dai miei zii che ne avevano preso parte, per ragione dei confini, gli uni contro gli altri. Il Novecento avanzava pieno di illusioni sulla propria capacità di espansione e di vittorie, ma anche fiorito d'arte, di scienze che avrebbero cambiato il nostro futuro finché, per l'ambizione di potere di alcuni, i nostri fratelli indossarono divise di guerra e le Alpi sembrarono abbassarsi, i mari facili da attraversare, il cielo nuovo spazio da conquistare. È incredibile come la voglia di prevalere sappia confondere la vista in modo da farci credere di essere nel giusto e capaci di vittoria. La storia del Novecento, così ricca di invenzioni, rinunciava alla pace immaginando una futura e nuove ricchezza. E mentre i nostri compagni dell'università partivano per uccidere gli studenti che erano dall'altra parte del confine, noi cucivamo divise dove tra una tela di lana ed una lavorata a maglia si metteva della carta perché non avessero troppo freddo.
La pace e l'unità dei popoli d'Europa è nata da queste sofferenze e dalla volontà di condividere la libertà per sempre tra noi popoli europei. Voi ragazzi difendete con parole, con azioni di fratellanza, con volontà ciò che i vostri padri hanno costruito. Offrite all'Unione le vostre capacità, la serietà dello studio e la bellezza della vostra gioventù perché finalmente, fra noi popoli liberi, nessuno più muoia «di ferro e di fuoco».
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