giovedì 5 febbraio 2015
Due grandi stalle, un capannone, una casa; un insediamento agricolo nato come cooperativa negli anni 60 e fallita presto, incorniciato, con divino sarcasmo, tra una frana e un viadotto: l'immagine più vera, non edulcorata, della realtà. Tra possibili scenari affascinanti quanto aleatori siamo tornati nel luogo in cui tutto è nato. La montagna frana irrimediabilmente, frana il terreno a ricomporre un paesaggio mutevole e si sgretolano le comunità che abitandola nei secoli avevano fatto di coltura agro silvo pastorale la cultura del vivere sui monti.La povertà dei mezzi a mantenere leggero ogni intervento, la funzionalità come criterio; l'utilizzo dei materiali in loco e il nitore delle forme a decretarne il tratto estetico. Dove la capacità del fare rifulgeva parca di parole s'è installato un vuoto rimbombante enunciazioni e proclami. Si rincorre un ideale estetico, fondante in sé, che ci sta trasformando nell'ultima periferia del tutto, ricettacolo d'ogni avanzo e l'unica contromisura messa in atto è la costruzione, comunque necessaria, di viadotti e gallerie ad agevolare il transito. Un senso di pesantezza grava sulle cose, si è creata una discrepanza insanabile tra la realtà, le aspirazioni e le attese, i modi dell'operare ed il contesto normativo.
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