mercoledì 27 luglio 2016
Tinone è un mio compagno di scuola. È stato sceriffo di un paese per una manciata di anni, in realtà lui era sindaco ma io l'ho sempre chiamato così. Nel suo borgo, non era necessaria la forza pubblica, bastava la sua gigantesca presenza al rispetto della convivenza civile. Ci stava benissimo con i film western che ho visto, all'oratorio, da bambino. Un giorno, alla scuola elementare ci sono i pidocchi e i bambini vengono subito allontanati. Ritorna un bandito sequestratore, in soggiorno obbligato nel paese, col figlio coinvolto nella vicenda e occupa la scuola. Si considera offeso. L'uomo ha un omicidio nel suo curriculum e le maestre sono in subbuglio. Una di loro telefona in Comune. Per loro fortuna, il sindaco è presente e, a spron battuto, arriva lì. Tinone pensa tra sé che il malavitoso possa essere armato. Sale nell'aula e subito lo affronta. Spalanca le due manone, che potrebbero contenere il bandito per intero. L'invito è perentorio: «Stai attento a non sbagliare il colpo, perché altrimenti con queste mani ti rompo l'osso del collo». Segue un attimo di suspense, in cui nei film tace anche la colonna sonora. Il bandito ha un momento di esitazione, poi, tenendo per mano il suo figliolo, si dilegua. Così il mio amico, con fantasia, si è inventato la legalità.
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