mercoledì 28 agosto 2019
Nel riproporre, a cura di Michele Bonsarto, la Diagnosi del disagio spirituale del nostro tempo, che Johan Huizinga pubblicò nel 1935 con il titolo Nelle ombre del domani(Nino Aragno, pagine 216, euro 20), l'editore ha giustamente ritenuto di conservare il titolo originale, che Luigi Einaudi, da economista e, attraverso il figlio Giulio, anche editore, primo entusiasta lettore dell'opera di Huizinga, aveva invece preferito esplicitare in La crisi della civiltà. Il saggio dell'olandese, che regge bene il confronto con le tematiche affini del Tradimento dei chierici di Julien Benda (1928), e del Tramonto dell'Occidente, di Oswald Spengler (1918), ebbe immediata risonanza e discorde accoglienza nella critica e nel pubblico italiano. Il più autorevole fu Delio Cantimori (1904-1966), alla critica anti-Huizinga del quale è dedicato l'ampio saggio di Luisa Mangoni in appendice all'edizione Aragno. Scriveva Cantimori: «Lo Huizinga non prende parte che per sé stesso e per una cultura indipendente: critica chi crede nelle trasformazioni sociali in senso comunistico, critica gli avversari di queste, critica chi crede nella restaurazione dei troni e degli altari, critica chi vuole guerra ai palazzi e pace alle capanne, se la prende con il reazionarismo di certi circoli cattolici. Nulla lo soddisfa: è il destino dei letterati che si vogliono occupare di politica senza pensare che questa è una cosa seria, che non ammette i begli spiriti né le anime belle…». Di diverso avviso La civiltà cattolica che nel 1938, in uno scritto di Angelo Brucculeri, osservava: «La rapidità e la sollecitudine con cui l'editore italiano promuove l'edizione italiana [del testo di Huizinga] sia sotto la spinta di Luigi Einaudi, sia per il consenso interno al titolo espresso dalla struttura editoriale, indicano alcuni aspetti su cui vale la pena di riflettere. Almeno tre: 1) l'insistenza sul ruolo civile dello storico che sta a premessa di questo suo libro; 2) ciò che Huizinga propone con il profilo di questo libro; infine 3) la sensibilità, dentro casa Einaudi, di cogliere in quel testo e di proporlo, si potrebbe dire come proprio segno, come propria linea editoriale». In realtà, Huizinga stesso risponde, nella prefazione all'edizione italiana, alla critica più grave che gli è stata mossa, e cioè di professarsi "ottimista", pur dopo aver tracciato un quadro disperante della situazione politica e culturale del suo tempo. Ecco la risposta: «Io non definisco ottimista l'uomo che sottovaluta i pericoli gravi, sostenendo: tutto finirà per il meglio, bensì colui il quale, pur valutando in tutta la sua portata la minaccia dell'imminente tracollo, tiene nondimeno alta la speranza, anche qualora non si scorga all'orizzonte una via d'uscita. La speranza può essere fondata unicamente sull'improbabile. Quella che si fonda sull'osservazione rigorosa di fatti potenti non è speranza, bensì calcolo». Strana posizione: la critica spietata di Huizinga ai mali del suo tempo (e del nostro, evidentemente) è basata «sull'osservazione rigorosa di fatti», ma la speranza basata sull'«improbabile» sembra una scappatoia magica: ai fatti non basta contrapporre stati d'animo.
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