martedì 24 gennaio 2017
Fuori dal Comune, qualche volta uno va anche al cinema. E, tanto per non smentirsi, sceglie una commediola dove la trama gira appunto intorno all'amministrazione pubblica: L'ora legale di Ficarra & Picone, appena uscita nelle sale. Beh, sono rincasato pensieroso dallo spettacolo: a parte le esagerazioni parodistiche dello spiritato Ficarra e certe battute surreali tipiche dell'affiatato duo, purtroppo è tutto vero. E non solo nella bistrattata Sicilia: anche nell'avanzata Lombardia...
Il plot della pellicola è semplice: si narra la vicenda di un sindaco siciliano che conquista la fascia tricolore grazie a una campagna elettorale a base di onestà e "cambiamento" (questa parola magica che prima i sostenitori e poi tutti i cittadini agitano come se non volessero che quello), succedendo alla scandalosa gestione clientelare del precedente primo cittadino. Solo che poi, quando il neo-sindaco comincia davvero a porre in atto il "cambiamento" programmato, si trova a scontentare tutti – ma proprio tutti – talché in conclusione... ma qui conviene lasciare oscuro il finale a chi vorrà godersi la verve dei due comici siculi.
Non so gli altri amministratori locali, ma io in non pochi episodi del film mi sono ritrovato completamente. La rivolta popolare non appena arrivano le cartelle esattoriali (prima mai esigite); le proteste perché la nuova pista ciclabile fa sloggiare la sosta abusiva; lo sconcerto nel fare la fila per ottenere un permesso, quando prima bastava mettersi d'accordo col sindaco al bar; la ribellione o almeno lo stupore per la "novità" di dover obbedire a tutti gli obblighi della vita civile che prima si trascuravano... Non sono esagerate invenzioni da sketch, ma appartengono all'esperienza di ogni pubblico impiegato.
In Italia (anzi, nella ex asburgica Lombardia!) far rispettare le "regole" – altra parola d'ordine che non a caso torna continuamente nella pellicola – ti mette davvero tutti contro: anche i compagni di partito, anche i familiari. Non a caso nell'Ora legale il conflitto tra i doveri del ruolo pubblico e i rapporti personali viene dichiarato più volte, soprattutto nel pianto sconsolato dei vigili urbani "costretti" a far le multe a persone che conoscono da anni: ma come, non eravamo amici?!? È proprio così: chi non è disposto a "chiudere un occhio", chi addirittura pretende di applicare la legge senza sconti, diventa ipso facto un "nemico" (e per un politico che ha sempre bisogno del consenso, pensate che razza di implicito ricatto!).
Infatti, nella scena finale la folla ripete la sempiterna scena: volete l'onesto oppure Barabba? La stessa gente che ha invocato il "cambiamento", messa personalmente di fronte alle conseguenze pratiche e ai piccoli sacrifici che esso implica (magari soltanto una diversa abitudine: come nel caso della raccolta differenziata dei rifiuti, finalmente introdotta dal sindaco perbene), ne diventa la più feroce avversaria; e finisce per preferire di fatto il delinquente – purché "garantisca" il quieto vivere dei propri piccoli, privati interessi. A quel punto ciò che spesso si rimprovera ai politici, ovvero di non mantenere le promesse elettorali, diventa addirittura virtù: come nella scena in cui un cittadino grida allo scandalo: «Ma si è mai visto un politico che fa quello che dice?».
Nel film appare chiaro: per noi italiani (solo per noi?) la giustizia non è tanto l'equità di trattamento in vista di un bene comune, bensì una somma di piccoli privilegi individuali elargiti feudalmente dal potente di turno. Lo dichiara l'ex sindaco decaduto, allorché nomina i vari beneficati rimproverandoli per non averlo più votato: «Non ti avevo dato forse la licenza? E tu, ti ho mai negato una raccomandazione?». Sembra che preferiamo davvero così: non l'uguaglianza sulla base di regole chiare per tutti, ma la possibilità di ottenere qualche deroga alla legge comune. Triste, vero, per un film comico? Più ancora per la realtà, però. D'altronde non è certo la prima volta che la satira castigat ridendo mores...
r.beretta@avvenire.it
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