giovedì 27 giugno 2019
Chiedo scusa: a costo di apparire fuori moda, avrei una buona notizia da dare. In questo mondo di ladri forse non tutto è perduto: lo dimostra un esperimento sociale condotto in 355 città di 40 Paesi, Italia compresa, dai ricercatori dell'Università di Zurigo e di quelle americane dello Utah e del Michigan, pubblicato sulla rivista Science. Camuffati da anonimi passanti, i ricercatori sono entrati in banche, teatri, musei, uffici postali, hotel e stazioni di polizia, per consegnare alla velocità della luce un portafoglio, dicendo di averlo trovato casualmente per strada e chiedendo di restituirlo al proprietario. Nei portafogli erano contenuti alcuni documenti personali, una lista della spesa e a volte dei contanti di valore variabile. Contro ogni previsione, è emerso che in gran parte dei casi le persone interpellate hanno provato subito a rintracciare il proprietario del borsellino, soprattutto se conteneva denaro: la probabilità è stata tanto più alta quanto maggiore era il valore economico in esso contenuto. In media, su scala globale, è stato restituito il 40% dei portafogli vuoti, il 51% di quelli che contenevano pochi spiccioli e il 72% di quelli più gonfi di denaro. Una curiosità: in Svizzera è stato restituito l'80% dei portafogli con soldi, in Cina solo poco più del 20%. L'Italia in classifica sta a metà strada, intorno al 50%, insieme a Paesi come Grecia e Cile. Gli esperti di scienze comportamentali spiegano con apparente semplicità questo fenomeno: la maggior parte delle persone cioè si comporta onestamente, soprattutto davanti a grandi cifre, non solo per altruismo, ma soprattutto perché teme di essere considerata al pari di un ladro, distruggendo l'immagine autopercepita di sé come di una persona onesta. Il nostro comportamento quindi sarebbe tanto più etico quanto più è integerrima l'immagine che ci siamo costruiti. E ciò dipende molto dal luogo in cui cresciamo, dai valori che abbiamo e dagli insegnamenti che riceviamo, diventando alla fine un fatto essenzialmente culturale.
Eppure la furbizia subdola, che è una delle più spregevoli manifestazioni di assenza di talento, continua a sembrare una virtù. E la correttezza un sinonimo di stupidità. Tutto dipende dal fatto che siamo pervasi dalla disonestà, da questo smog che entra nelle narici, ti si attacca ai vestiti e celebra la prevalenza dei troppo scaltri, di chi tenta sempre e comunque di fregarti nelle grandi ma anche nelle piccole cose. Tanto da far scattare il principio dell'autodifesa, quello che spinge chiunque a cercare l'espediente, magari non illecito ma spesso poco leale, per restare a galla nel mare della slealtà altrui. Alla fine, è vero quello che sosteneva Giovenale: «L'onestà è lodata da tutti, ma muore di freddo». Viviamo insomma più o meno tutti in libertà provvisoria. Ma con la consapevolezza che ribellarsi sia indispensabile. Perché essere onesti importa ancora, importa eccome. Marca le differenze, segna il confine: l'onestà è coscienza, dà la misura della lealtà, indica il grado di affidabilità di una persona. Senza quella, la convivenza diventa impossibile. E, come dimostra il mondo attuale, un gruppo di persone dove il tasso disonestà supera il livello di accettabilità, non regge e si disgrega.
Qualcuno ha scritto che la disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile. Per questo vale la pena di non rassegnarsi: l'onestà purtroppo non è innata, è una virtù che si impara, è come una dieta, un percorso che porta qualche volta a pentirsi di averlo iniziato ma che poi aiuta a stare meglio. Che alla fine è la cosa che importa di più. Antonello Venditti canta così: “in questo mondo di ladri, in questo mondo di eroi, non siamo molto importanti, ma puoi venire con noi...”. La musica prima o poi finisce, e resta una sola, spiazzante certezza: chi perde l'onestà non ha nient'altro da perdere.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI