martedì 1 giugno 2021
Il fenomeno è tra i meno noti al grande pubblico europeo. È quello delle cosiddette "porte girevoli" (o sliding doors), attraverso le quali, dopo aver lasciato i propri incarichi, transitano ex-commissari, alti e medi dirigenti della burocrazia di Bruxelles, per essere assunti da grandi imprese, meglio se multinazionali, da banche e società finanziarie, da studi legali e di consulenza. Succede anche all'interno dei singoli Paesi, Italia compresa, spesso con protagonisti esponenti politici e "grand commis" dello Stato, che abbandonano poltrone pubbliche per assumere prestigiosi – e di solito ben remunerati – ruoli nella galassia produttiva o dei servizi.
La differenza è che, all'interno dei confini nazionali, certi "trasferimenti" saltano più facilmente agli occhi, mentre nell'"eurosfera" sono difficili da intercettare. In genere non si tratta di comportamenti illeciti, che violano norme codificate. Siamo piuttosto sul terreno dell'opportunità e quindi dell'etica, nel quale certe forzature o comportamenti disinvolti alimentano disaffezione e scetticismo. Forse non impattano direttamente sui cittadini dell'Unione, perché i mass media se ne occupano raramente. Ma inevitabilmente si diffonde negli organismi di governo comunitario un clima di disincanto, o di vero e proprio cinismo, che fa a pugni con l'idea di servizio all'ideale europeo.
In teoria esistono paletti fissati dai regolamenti interni della Commissione, che prevedono la richiesta di consenso da parte di ex eurocrati destinatari di offerte di lavoro a rischio di conflitti di interesse. Come pure si esigono in certi casi periodi di "raffreddamento" (cooling-off), prima di accettare altri lavori da chi è interessato a sfruttare competenze e conoscenze acquisite sull'asse Bruxelles-Strasburgo. Ma a quanto pare la prassi largamente prevalente è quella di dare via libera senza troppe verifiche.
Ecco perché assume particolare valore la tenace battaglia contro le porte girevoli facili, condotta da Emily O'Reilly, giornalista e scrittrice irlandese che dal 2018, per la seconda volta, ricopre il delicato incarico di Difensore civico (Ombudsman) presso le istituzioni Ue. A capo di un agguerrito staff di funzionari, la "mediatrice europea", come pure viene definita, ha da ultimo messo sotto esame un centinaio di dossier, che riguardano ex-personale di alto livello transitato nel settore privato.
A metà maggio, O'Reilly ha scritto una secca lettera a Ursula von del Leyen, chiedendo di aver accesso alla documentazione, compresa quella confidenziale, che riguarda la "centuria" sotto osservazione. Vi sono coinvolti manager e funzionari usciti da quasi tutte le direzioni generali più delicate del vertice commissariale (agricoltura, economia, clima, salute, concorrenza...), ma anche dal gabinetto di presidenza e dall'ufficio legale. L'indagine in realtà va avanti da inizio anno e alcuni casi hanno già fatto rumore. Per esempio, quello dello spagnolo Carles Esteva Mosso, che da direttore generale aggiunto dell'Antitrust Ue e responsabile per gli aiuti di Stato, è trasmigrato in uno studio legale che si occupa di consulenze anche nel suo settore di provenienza. Nel rapporto annuale sull'attività svolta nel 2020, la O'Reilly non dimentica di citare le porti girevoli tra le questioni oggetto della sua «particolare attenzione». Perché? Possono, risponde, «nuocere sia alle stesse istituzioni sia alla percezione pubblica della Ue». Ne va, insomma, della buona fama dell'Europa stessa.
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