sabato 21 febbraio 2009
Come si fa a dire di no a frate Giovanni? Francescano della Campania, cappellano nel carcere di Bellizzi Irpino, presso Avellino, Giovanni Crisci pubblica nel 2006 un libro dal titolo Imputato Gesù di Nazaret (Poligrafica Ruggero, Avellino). Non è facile affrontare tutte le spese di stampa e di spedizione soprattutto se si tratta di volumi a sfondo religioso che possono contare su un pubblico limitato di lettori. Quando, per un breve periodo di tempo, aiutavo un'amica che aveva una libreria nel centro di Roma, ho anche imparato a conoscere i vari tipi di lettori che si dividevano in gruppi ben riconoscibili. Chi spendeva per leggere almeno un libro al mese era già considerato un cliente sul quale fare affidamento, ma nessuno di loro cambiava reparto di interessi. In tal modo si può arrivare fin dall'inizio a sapere sulla vendita di quante copie si potrà contare. Fratello Giovanni vorrebbe allargare il pubblico dei suoi lettori perché lo scritto, anche se si rivolge in particolare al mondo dei detenuti, apre pagine di speranza, di volontà d'amore, di un modo familiare per rileggere il Cristo del vangelo, anche al popolo che è fuori dalla prigione. Fra' Giovanni usa la sua fantasia per illuminare meglio la scena dell'ultima cena, la preghiera nell'orto degli ulivi, il tradimento di Giuda che noi oggi forse siamo portati a pensare non sia da addebitare solo alla sua volontà, ma a un fatale destino.
Tutta la Passione qui prende colore quasi venisse raccontata per la prima volta una storia nuova in modo che la figura del Cristo, che i prigionieri sentono lontano, possa aprire le Sue mani attraverso le sbarre ad accogliere quelle mani che avevano ucciso, rapinato, offeso la dignità umana. È facile, quando si va a visitare chi ha perduto la propria libertà, trovarsi a perorare la loro causa e quasi sostenere le loro ragioni, cadere nell'inganno di una falsa pietà. Ma questo scritto propone la giusta strada e aiuta a percorrerla anche quando ammette che la vita è spesso come un deserto arido e senza acqua. Allora, dice l'autore, «queste pagine, sono come un'oasi o come un torrente dove puoi attingere a piene mani ogni giorno quando hai sete...».
Qui sta la ragione di questo libro che va letto non solo dai carcerati o per loro, ma da tutti noi che non siamo portati, quando sentiamo continuamente di delitti e di stupri, a considerare anche quella fascia di dolori che essi lasciano nella loro famiglie, nei figli, nei piccoli. A quella devastazione che l'applicazione della giustizia non è tenuta a supportare, ma che diventa causa di depravazioni, di abbandono alla miseria fisica e morale. Questa la grande pena di frate Giovanni. Aiutiamolo acquistando il suo libro che ci indica, nei confronti di chi ha peccato, la strada della vera pietà: «La carità non domanda a un padre o ad una madre quale è il suo passato: domanda soltanto quale è il suo dolore».
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