martedì 27 aprile 2004
Mettere un messaggio sul Pioneer 10 somiglia al gesto che compie il naufrago quando chiude un messaggio in una bottiglia e l'affida all'oceano. Solo che l'oceano spaziale è molto più vasto di qualunque oceano terrestre.Il 2 marzo 1972 la sonda Pioneer 10 recava con sé nello spazio una placca di alluminio dorato di 15 x 22 cm: su di essa erano incise alcune figure geometriche e il profilo frontale di un uomo e di una donna. A concepire questo messaggio destinato a ipotetici esseri intelligenti extraterrestri era stato lo scienziato e scrittore Carlo Sagan che nella sua opera Contatto cosmico così spiegava quella lamina: «Vuole comunicare la località, l'epoca e la figura fisica degli esseri che hanno realizzato il veicolo spaziale, ed è scritto nel solo linguaggio che possiamo avere in comune con i destinatari, la scienza».
Forse un po' troppo ottimistica questa spiegazione. Sta di fatto che lo stesso Sagan aggiungeva la considerazione che sopra abbiamo evocato e che ci fa sentire più a nostro agio perché altro non è che un'eco del famoso sconcerto che il grande Pascal, scienziato, filosofo e teologo, provava di fronte agli immensi spazi siderali ma anche di fronte allo straordinario mistero della creatura umana misera e minima eppure capace di trascendenza. Ricordo anch'io l'emozione di quel 21 luglio 1969 allorché Neil Armstrong posò il piede sul suolo lunare affermando che "questo è un piccolo passo per un uomo ma un passo da gigante per l'umanità". In realtà le cose andarono diversamente e quell'evento ebbe scarse ricadute. Ha più significato forse interrogarsi su quel mistero macroscopico che è l'universo e microscopico che è l'uomo. Rileggete oggi il Salmo 8 e l'Infinito di Leopardi.
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