martedì 9 gennaio 2018
Confesso che sento vergogna a camminare sulle strade di Niamey. Proverò vergogna a parlare del mio Paese di origine, quello che ho lasciato con una certa irregolarità in questi ultimi 25 anni. La Costa d'Avorio, la Liberia della guerra civile e il Niger da sette anni. In mezzo a tutto ciò l'Argentina e il Centro Storico di Genova, ecco la fortuna che mi ha accompagnato in tutti questi anni fino ad oggi. La fortuna di "sguardare" il mondo dal Sud che poi è un altro mondo, un mondo che apre gli occhi sulla realtà che ci avviluppa. È solamente dal punto di vista dei poveri che si può scoprire la verità delle cose e della storia. Vivere a Sud di Lampedusa, l'isola diventata il simbolo della frontiera tra l'Italia e l'Africa, mi ha insegnato tante cose. Una di queste è la scoperta che la frontiera dell'Italia mi ha seguito, si trova nel Niger, ad Agadez. Questa città, un tempo crocevia di carovane si è trasformata in un fortino di difesa dal movimento migratorio verso l'Algeria, la Libia e... l'Italia.
Avrò vergogna, venendo da un Paese che all'articolo 11 della Carta costituzionale, «...ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie...», per il prossimo, incombente tradimento di questo principio che dovrebbe guidare l'etica delle relazioni internazionali dell'Italia. D'altra parte non sarebbe la prima volta, siamo recidivi! Basterebbe ricordare l'invasione della Libia, della Somalia, dell'Etiopia e la creazione dell'Eritrea. In questi Paesi sono stati perpetrati dei massacri, sia durante il Regno che durante il ventennio fascista di Mussolini. Un caso per tutti è il massacro di Addis-Abeba nel febbraio del 1937. Secondo Ian Campbell, autore di un recente libro sull'argomento, tra il 19 e il 21 febbraio di quasi 81 anni fa vennero uccise circa 20mila persone. Questo massacro è sempre stato riconosciuto e denunciato in Etiopia, ma dissimulato al cospetto della comunità internazionale.

La vergogna che anche il popolo italiano avrebbe dovuto provare è stata per decenni coperta dal diniego dei fatti per la versione di un'Italia di sola "brava gente" durante l'epopea coloniale. Purtroppo, no. L'autore citato ricorda che la violenza fascista in Etiopia è stata precorritrice della violenza nazista in Europa. Ciò è vero sia per le "tecniche" usate - massicci bombardamenti aerei di civili, guerra chimica e lanciafiamme - sia per le operazioni di contro-insurrezione sotto forma di repressioni esemplari come l'esecuzione di ostaggi e l'uso di campi di concentramento. Non è dunque per caso che l'autore abbia intitolato il suo documentato libro: "Il massacro di Addis-Abeba.Una vergogna nazionale italiana". Certo, il fascismo è stato vinto e così il nazismo tedesco, ma non il peso dei fatti che ancora permane. Chi non impara dagli errori (e orrori) della storia è destinato a ripeterli nel tempo.
Avrò vergogna davanti ai poveri, ai migranti che incontro dal mio arrivo a Niamey, alla Chiesa del Niger, ai contadini e agli amici della società civile coi quali lavoriamo assieme per scoprire la dignità nascosta nella sabbia della politica di questo Paese africano. Avrò vergogna di passare davanti alla nuova ambasciata del mio Paese di origine, perché qui la "missione" sarà condotta con mezzi, armi e intenzioni geopolitiche. Ho scelto di arrivare in questo Paese da missionario con le mani nude e col desiderio di camminare assieme a un popolo che non dovrebbe essere tradito una volta di più. Sappiamo quanto contino gli interessi legati alla mobilità delle persone e, in specie, quanto conti il piano di ritagliarsi un posto al sole nello scacchiere del Sahel. Ciò è stato ricordato con franchezza dalle autorità di governo nel presentare l'invio del contingente militare. L'Africa è al cuore dei nostri interessi strategici. Ma strategie militari e colonialismo sono sinonimi. Una persona, dopo la pubblicazione su "Avvenire" della mia lettera aperta ai parlamentari, mi ha scritto: «Rimpiango tutto ciò, e ho vergogna di essere italiana...». Non è l'unica, vedo ogni giorno. Sapevo bene che non sarei stato il solo.
Niamey, gennaio 2018
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