mercoledì 1 aprile 2020
L'ordine e il disordine convivono in queste settimane d'isolamento, dove si sono spenti anche i balconi con la musica e i bicchieri in mano. E se l'ordine coincide con la disciplina, il disordine cova sotto la cenere come ai tempi del Manzoni dove il popolo affamato pretendeva pane. È stato un ordine la chiusura di tante attività, che alla fine ha fatto emergere il disordine del lavoro in nero in diverse sacche del Paese. Così le pezze, utilizzate anche come bende agli occhi di amministratori non vedenti, si sono sommate alle giustificazioni sociali mai dichiarate e attuate. Ma ora tutto viene allo scoperto e non regge l'ondata d'urto. Però, in verità, bisognerà pensare a tutti, con la certezza che non potrà più essere come prima, proprio no. E che dire dei lavoratori dei campi, sfruttati e sottopagati? Non ci sono più. Ne servono 200 mila subito, dicono le organizzazioni di categoria, pena il mancato raccolto di frutta e verdura, linfa per tutta la filiera. Ma che assicurazioni sanitarie hanno questi stagionali? O che assicurazioni avevano le badanti e i badanti, che forse si sono reciprocamente contagiati con gli anziani che accudivano e accudiscono? Siamo nel pieno di una tempesta e c'è chi sta organizzando (e si farà pagare) task force legali contro medici e infermieri, contattando chi ha preso l'infezione in ospedale. Si pretende l'ordine nel disordine del Titanic, come in un reality dove si può girar la testa dall'altra parte. Ma non può funzionare. C'è poi un allarme minore, ma da non sottovalutare: la sedentarietà in casa e la riscoperta culinaria alimenterebbero sovrappeso e obesità. E anche qui, la scelta può essere fra il cogliere l'occasione per adottare uno stile di vita virtuoso, tutti insieme coi propri familiari, oppure sfogare angosce nel cibo a volontà e nel bicchiere. Ma così facendo come ci ritroveremo quando parte la ripresa? Disordinati. Ma c'è disordine anche nel tempo libero, se esso è delegato ai palinsesti televisivi. La proposta di Pupi Avati di rivoluzionare almeno quelli della tivù pubblica per diffondere bellezza, cultura, conoscenza sta facendo discutere talmente tanto che siamo già al bla bla. E non si deciderà nulla, sapete perché? Perché non conta il canone che paga il cittadino, ma la pubblicità acquistata in base all'audience. Per cui la Rai, in un regime di concorrenza, rischia di soccombere. A meno che… Si facciano avanti le grandi aziende e decidano, in barba all'Auditel, non di fare la pubblicità ma di adottare quella trasmissione, quella serie di film, quel viaggio dentro la bellezza del nostro Paese, che ci aiuta a riappropriarci di qualcosa che non sapevamo. Distratti com'eravamo, dal disordine.
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