sabato 14 giugno 2003
Islam come problema: dopo le parole di fuoco dell'imam della Grande Moschea di Roma è chiaro a tutti. Ieri su "Repubblica", prima pagina, Gilles Kepel, "Le relazioni pericolose", e all'interno tra altri articoli un pensoso Adriano Sofri, "Noi e l'Islam, parliamone". A proposito del quale è recente, sul "Foglio", un suo bellissimo pensiero su Papa Giovanni e monsignor Capovilla, profondo e toccante. Tornando all'islam, in pagina c'è ancora - "Repubblica", "Unità", "Manifesto", "Liberazione" - chi crede giusto mettere tutte le religioni sullo stesso piano, sempre e comunque, senza problemi, sia in teoria che in pratica. In pratica? Va dunque riconosciuta libertà di parola a chi incita alla guerra santa con ogni mezzo, come l'imam di Roma? Noi e l'islam: parliamone. Finalmente e senza pregiudizi, ma guardando in faccia la realtà, che è complessa. Anche il cristianesimo, certo, che pure alla radice ha sconfessato ogni violenza, è stato ed è realtà complessa, ha avuto nei secoli le sue "guerre sante", ma oggi quale Papa, quale vescovo cattolico, protestante o ortodosso potrebbe dire cose anche da lontano simili a quelle dette pubblicamente dall'imam di Roma? È la storia, sono i fatti che segnano certe differenze. È cecità ideologica negarle, sia in nome di una indefinita parità riconosciuta a tutte le culture religiose, che invece nei confronti della convivenza civile sono diverse e lo restano, sia in nome di un pregiudizio laico che relega il fatto religioso in ambito privato. Pensiamoci, prima di parlarne"
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