giovedì 6 febbraio 2014
L'infermiera russa, laureata in economia e commercio, fa le pulizie nella mia stanza a quattro letti. È moscovita, doppia cittadinanza e vota per Putin, perché i ricchi, racconta, con lui pagano le tasse o vanno in galera. A Mosca, sostiene, le prostitute prese per la terza volta,vanno in prigione dove devono però guadagnarsi il pane che mangiano. Conosce ampiamente la letteratura europea ma ama soprattutto Lev Tolstoj, massimo interprete dell'anima russa. Puskin è troppo occidentale, dice, ed è un incrocio, non un vero russo. Lei ha quarantacinque anni, è bellissima, ha un marito lombardo e un figlio che ozia nelle terribili scuole italiane. Si chiama Anna, come la Karenina ma a me ricorda di più la Lara del dottor Zivago. Lei non lo sa ma il suo orgoglio di donna e la sua cultura meditata mi confortano la degenza sanitaria. Ha una treccia biondissima e non ride mai, muovendosi senza compiacimento come se stesse pattinando sul ghiaccio. Non è stata battezzata ma ogni anno lei e sua madre percorrono insieme l'anello d'oro. Cioè tutti i monasteri ortodossi che stanno intorno a Mosca. Teme che un domani suo figlio possa fare carta da camino della biblioteca che si è portata a fatica dalla Russia. Io invece sogno un innesto robusto della santa Russia nella nostra Europa.
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