venerdì 14 febbraio 2014
Ègià un miracolo essere nati sani. Il prodigio successivo è superare tutti i rischi dell'infanzia. Gli anziani dicevano che c'è il signore degli ubriachi, che tiene in equilibrio le biciclette dei forti bevitori, e protegge i bimbi. Quando il fiume Lambro era in piena, amavo correre sulla linea immaginaria che, secondo me, separava l'acqua alta dalla sommità della riva, bastava un nulla a farmi precipitare. Forse era un archetipo del mondo in cui avrei vissuto successivamente. Il girello, allora, pesava quanto una cassa da morto. Un mattino riuscii, dentro quel trabiccolo, a varcare la soglia e precipitare giù dalla scala fino al cortile. Mi davano per deceduto ma la gramigna è dura a morire. Una terza volta ero in cortile a giocare con mio padre. Lui raccolse la palla e quando si voltò, non c'ero più. Girando gli occhi vide che il mio cappellino estivo stava galleggiando come una barchetta in mezzo ad una vasca in cui sostava, prima di riprendere il corso, il rigagnolo proveniente da un fontanile. Stavo tranquillamente annegando ma mio padre mi salvò. Ora quando sento la canzone «Il vecchio frac» di Modugno o vedo il finale del film sulla biografia di Virginia Wolf, penso ai cappelli galleggianti come fiori votivi su chi se n'è andato tra i flutti gelidi laggiù.
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