mercoledì 19 agosto 2015
Il 10 giugno 1985 Nadia Campana, trentunenne saggista, traduttrice e poetessa, trovò la morte gettandosi di notte dalla Tangenziale est di Milano, all'altezza di via Corelli, nella periferia orientale della città. L'anno prima aveva radunato una sessantina di poesie, alcune anticipate in riviste, per un libro che vedrà la luce solo nel 1990, presso l'editore Crocetti, a cura di Milo De Angelis e Giovanni Turci, con il titolo, già scelto dall'autrice, Verso la mente. Divenuto ormai introvabile, il libro è stato ristampato dagli stessi curatori, cui si è aggiunta Emi Rabuffetti, presso l'editore riminese Walter Raffaelli (pp. 104, euro 12), con una commovente prefazione di Milo De Angelis. Si può solo immaginare (anzi, non lo si può neppure immaginare) lo strazio degli amici di Nadia che hanno cercato di confortare la madre e la sorella di lei, strazio che De Angelis rinnova ricordando gli ultimi mesi di Nadia, «tra i più disperati che ho mai conosciuto in un essere umano». Con simile antecedente biografico è difficile e forse ingiusto esprimere un giudizio critico, ma si farebbe torto a Nadia Campana, poetessa, sigillandola nel limbo del “caso umano”. Dunque è vero, come scrive De Angelis, che ci troviamo davanti a una poesia polifonica «che da una parte porta con sé la ferita di un male intenebrato e possente, preceduto da una catena di presagi, allarmi, segni, avvisaglie, turbamenti appuntiti che incrinano continuamente la pienezza; ma dall'altra conosce anche la musica viva dell'incontro e dell'incanto, dell'amore, della sfida», ma il tono e il suono richiamano troppo da vicino, e in ritardo, la poesia del primo Antonio Porta, che inevitabilmente il prefatore richiama in nota, informando che Porta «su cui scrisse la tesi di laurea, le fu maestro e amico». Assonanze e consonanze che un orecchio minimamente esercitato riconosce all'istante: «Comincia la sete aumenta, l'ha sollevata, la fa / impazzire, gli uccelli covano tra i massi rotola- / ti dalla montagna, raccontandole storie, una mano / sulle ginocchia, apparizioni, bulbi di crisantemi, / la testa tra le gambe, per ciò piangono tutti, / è la fame, per trent'anni d'amore, spine nella / barba multicolore, la casa brucia con gli anni, gli / occhi non sai dove guardano, se è l'ora, non ci / credono più, ancora» (Antonio Porta, 1963); «già veduto già rotolato / già rimando il corpo sospeso / tra le rocce lacerato / qualcosa si disperse in lui nell'aria / e corse in ogni direzione con muta gioia / ancora una volta / avanti oltre la detonazione / i piedi nella terra / s'era gettata seguendo il fondo / cadde nel piatto / seguendo / quaggiù tra le onde e il sole / sagome di petali neri / bisanzio trasformazione» (Nadia Campana, 1984). La tragedia, purtroppo, ha impedito a Nadia di mantenere le promesse che la sua poesia pur conteneva.Raffaelli ha pubblicato anche la delicata silloge Sorgente di giardini (pp. 64, euro 12) di Maria D'Albo, che nel 1998, a trentadue anni, è entrata nel Monastero delle Carmelitane scalze di Sassuolo, avendo alle spalle traduzioni dal francese, un racconto e una prima raccolta di poesie. Qui colpiscono il candore, la freschezza di vita, in una poesia peraltro stilisticamente non personalizzata: «Silenzio che risuoni / limpido come pura fonte / sei un'unica Parola / un mantello di vita // avvolgi le nostre attese / dell'unica Attesa / della voce impercettibile / che orienta il cammino». Nadia Campana e Maria D'Albo, diversissime nel vissuto, accomunate dall'incompiutezza della resa letteraria.
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