martedì 26 maggio 2020
All'inizio del Sermone L, San Bernardo spiega perché Dio comandi “cose impossibili”. Lo fa con il suo vertiginoso latino, ovviamente impossibile qui da riportare, a cui rimando (Opere V/2, Fondazione di studi cistercensi, pp. 187-189). Predomina, in quella squisita dissertazione, la concezione di “impossibile” secondo i nostri parametri morali. E cita allora “L'ama il prossimo tuo come te stesso”, “porgi l'altra guancia” e altre sentenze evangeliche che ripugnano all'stinto. E che la morale non corroborata dalla Sapienza sia istinto o organizzazione dello stesso nel cerchio allargato della tribù e poi della società. Ma “il possibile” si rivela sempre, nel corso dell'esistenza, come una sorta d'intralcio, se non di chimera. Ed è proprio l'impossibile a farci “salire di livello”, ad aprire in noi brecce inaspettate ed infine a dirigere il corso della nostra navigazione in questa vita. Mi è così venuto in mente l'apparentemente ermetico “Il reale è l'impossibile” di Jacques Lacan, grande conoscitore del pensiero dei padri della Chiesa, in particolare di Sant'Agostino, e fratello di un gesuita. L'impossibile, per San Bernardo ma anche sotto un certo aspetto per Lacan, è tutto ciò che non si manifesta perché non lo vogliamo. Ed è anche tutto ciò che riteniamo momentaneamente ingiusto pur sapendo che giustificherà il suo passato e ciò che sarà stato il nostro presente.
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