mercoledì 2 aprile 2003
«Altro che odalische, questo è un harem». Titolone a piena pagina sabato
per Stefano Miliani («Unità») che intervista Fatima Mernissi, «studiosa della condizione femminile nell'Islam» e riassume il tutto nell'affermazione lapidaria: «è l'uomo il più vulnerabile». Però nelle parole dell'esperta il discorso, diverso e complesso, critica l'immaginario maschile dell'harem tradizionale, ma non va oltre. Dal testo di Miliani invece, con titoli e sommari, risulta che la donna islamica è davvero padrona di sé, più forte dell'uomo, e quindi l'Islam è la vera religione della donna. In verità questo è l'immaginario di certi giornali, criticissimi con il Cristianesimo e credulissimi verso l'Islam. Due anni fa «Il Manifesto» scriveva seriamente, p. es., senza un filo di interrogativo, che Maometto «parlava con gli alberi»! Ora apprendiamo che l'Islam è la vera religione della donna libera. Perbacco! Peccato che la realtà è diversa, e l'immaginario maschile anche sfortunato. Lunedì («Cultura» della «Stampa», p.34) la recensione di un libro drammatico, «L'amore ucciso», narra la vicenda di una ragazza musulmana, Dalia, uccisa dal padre con 12 pugnalate su decisione del consiglio di famiglia solo perché amava e voleva sposare Michael, un ufficiale giordano che però - qui è il punto - è cattolico. E per la cronaca, mentre scrivo queste righe è data per imminente la sentenza
dell'Alta Corte islamica di Katsina, in Nigeria, sulla condanna a morte di Amina, donna nigeriana accusata di adulterio. Questo non è immaginario in pagina, ma dura realtà. Pensiamoci su"
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