mercoledì 3 agosto 2016
Capita di trovarsi in città, una mattina, e sentirsi attirati da una macchia gialla nella piazza. Sono i banchetti di Campagna Amica, organizzati dalla Coldiretti: una quindicina fra uomini e donne che espongono il raccolto dei loro orti. Al banco di un ragazzo che vende anche un eccellente pane agricolo, devo aspettare: sta smanettando col telefonino ed è quasi scocciato di avere qualcuno di fronte che lo distrae (stare a casa, no?). Acquisto qualche pomodoro cuore di bue e, quando a casa li assaggio, provo il gusto sugoso e antico della mia infanzia. E così con le albicocche, le susine, le pesche di vigna, pastose. Ci sono dei frutti, bruttissimi a vedersi, che dentro hanno il segreto del sapore vero. Peccato che quei pomodori non abbiano un'etichetta, per rintracciare l'azienda, che magari ti offre le uova, oppure il cicorino che difficilmente trovi sul mercato. Io credo che oggi ci sia bisogno di riappropriarsi di questo rapporto con le cose vere e l'estate è la grande occasione per fare la spesa in campagna. Sulla mia scrivania è arrivato un libretto che vorrei consigliare al ragazzo col telefonino: "Direct food", scritto da Antonio Schiavelli, presidente di Unaproa, insieme con Flaminia Ventura e Pierluigi Milone (Donzelli editore). Una realtà che sta dilagando, anche se questi agricoltori fanno di tutto per non comunicare: basterebbe un biglietto da visita... e il telefonino spento. L'agrimarketing oggi è passato da elemento marginale, alternativo alla classica rete di distribuzione, a fenomeno che veicola quantità sempre maggiori di prodotto. I motivi del successo si devono al fatto che l'agricoltura familiare è garanzia di sostenibilità e, anche, di salubrità. Un modello di vendita diretta, che coinvolge un'organizzazione di produttori ortofrutticoli del Sud Italia, è la Campo Verde Agricola. Ma proprio leggendo questa case history, emerge uno dei punti focali di questa analisi: l'importanza del web e il necessario trasferimento di quel rapporto diretto tra produttore e consumatore all'universo dei social network (che non è esattamente l'atteggiamento di quel ragazzo col telefonino). C'è infatti un altro passaggio che manca: la formazione e l'autoscienza che il contadino torni co-produttore con la natura e il consumatore diventi co-produttore col contadino. Ma chi sono i protagonisti di questo cambiamento? Dall'analisi emerge che sono persone generose, ottimiste, con ideali capaci di trascinare con sé una generazione di nuovi, giovani, agricoltori (che però non vadano a caccia di Pokemon). Un quadro che potrebbe sembrare irrealistico, se non ci fosse un avvertimento degli autori: «A livello di grandi imprese si è dimostrato che è sufficiente che un 30% degli addetti cambi modo di comportarsi, per generare la nuova cultura».
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