sabato 7 dicembre 2013
L'elemosina ha avuto una storia varia, durante la mia vita. Quand'ero bambino forse conservava qualcosa dell'antica sacralità biblica. Può darsi che quella società rurale fosse ancora capace, malgrado tutto, di vedere ogni uomo sotto la specie dell'umanità. I poveri bussavano di porta in porta; e chi non dava l'elemosina rispondeva: «A perdonare». Era ormai una formula, che però conteneva, nella lettera e all'origine, una richiesta di remissione: come per un debito non pagato. Anche se poi le elargizioni erano quelle che voleva l'economia del tempo: avanzi di cibo, tozzi di pane indurito... C'era chi trovava una giustificazione miserabile per la mancata elemosina di qualche spicciolo: «Se li beve» (adesso si dice: «Si droga»). E tuttora ripugna la selezione morale dei mendicanti a opera del benefattore («i miei poveri»). L'elemosina va data a tutti coloro che mendicando la chiedono. Come la spenderanno restano fatti loro, non siamo legittimati a giudicarli - tanto meno preventivamente. Solo se si trattasse d'un consistente investimento altruistico (ne facciamo?) sarebbe prudente valutarne le prospettive. Questo è il mio personale, opinabile statuto. E tengo pure conto dell'obiezione di sinistra: l'elemosina non rappresenta una soluzione. È vero, non basta; ma serve (anche a chi la fa).
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