mercoledì 30 maggio 2012
Ieri "Osservatore Romano" grande apertura per l'annuncio di Benedetto XVI nella Pentecoste: «Da Babele all'unità. Il 7 ottobre san Giovanni d'Avila e santa Ildegarda di Bingen dottori della Chiesa». Millenni in fila, da Babele a oggi… Sugli altri giornali aperture diverse, ovviamente. Ma mi colpisce quella che campeggia sulla prima su "Libero", «Calcio e Vaticano: non c'è più religione», ove leggi che «ci era rimasta la fede, nella Chiesa e nel pallone»… Nel primo caso pare un discorso che svicola dall'attualità scottante, e nel secondo il pugnale della cronaca più nera brucia in diretta la realtà. Proprio così? Da Babele a oggi, dice il Papa, ed esalta anche Ildegarda (1098-1179), donna, scrittrice, musicista, cosmologa, artista, drammaturga, filosofa, poetessa, consigliera politica, mistica, teologa, naturalista, scienziata che ha lasciato tracce anche in chimica e botanica: un passato si conferma e resta grande. Su "Libero" la battuta su fede e calcio, duemila anni di storia cristiana e 11 uomini in mutande che tirano calci al pallone, un fenomeno che attrae e impazza sui giornali – in latino dal greco: "ephemèrides" – effimeri per definizione. Parallelo infelice e offensivo. C'è di peggio? Sì, e purtroppo da persona che sapevo intelligente. "Unità" ieri (p. 21): «Il Vaticano sempre più ci appare come una triste consorteria di soli uomini, tutti vecchissimi, non per questo meno assatanati di potere». A parte i contenuti, colpisce in ambedue gli esempi – "Libero" e "Unità" – l'uso sicuro del «ci», plurale di maestà. Una volta lo usavano i Papi, poi è caduto in disuso. Altrove no: si parla sempre a nome di tutti: «Ci era rimasta la fede, nella Chiesa e nel pallone» e «ci appare... una triste consorteria». Eppure domenica il Papa non pareva triste. Forse, nonostante tutto, nella Chiesa c'è altro che regge e sorregge: da duemila anni. E Benedetto sorrideva, quando ha ricordato «la roccia».
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