venerdì 16 dicembre 2022
Si impara ancora “a mente” in qualche scuola elementare italiana, prima delle vacanze di Natale, la poesia di Angiolo Silvio Novaro sulla Santa Notte, sul rifugio di Giuseppe e Maria in una stalla di Betlemme dove nascerà il Salvatore? Affettuose e orecchiabili, piacevano molto ai bambini di un tempo; e alle loro maestre e a qualche maestro: «Consolati, Maria, del tuo pellegrinare...». Ce n’era una anche sull’anno nuovo? «O anno nuovo che ti affacci / calpestando i lisi stracci / dell’anno ch’è morto, vieni!». E la più letta di tutte era quella sulla “pioggerellina di marzo” che annunciava la primavera; insieme a quella su san Francesco e il lupo: «Viveva un dì, narra un’antica voce, / vicino a Gubbio un lupo assai feroce...». L’abitudine di fare imparare a memoria poesie considerate strumenti educativi indiretti o diretti, credo si sia persa da tempo, e uno dei motivi per apprezzare il ricordo di Gianni Rodari fu proprio quello di avere ridato nuova vita a quella storia, tornando a quella tradizione; e si potrebbe anche dire che Rodari è stato un indiretto allievo di Novaro, il poeta ligure (1866-1938) che si fece una specialità dei versi facili da imparare a memoria anche per i bambini più piccoli, per i primi anni delle scuole elementari. Le raccolte di Novaro andavano a ruba non solo nella scuola, ed erano versi spesso banali ma sempre “caldi” e facili da ricordare, sì che ancora oggi più generazioni di italiani li ricordano. A cavallo, diciamo, tra Pascoli e Gozzano, Novaro era però bravo a parlare ai lettori tra i sei e i dieci anni, un pubblico che seppe conquistare senza mai ruffianeggiare. Altri suoi versi venivano talvolta proposti nelle aule di un tempo, su Garibaldi e sulle sue imprese. Novaro venerava “l’eroe dei due mondi” ma il suo amor di patria fu messo a dura prova quando, nella Prima guerra mondiale, un figlio gli morì al fronte. Imparare versi a memoria era considerato un tempo un esercizio fondamentale sotto tanti aspetti, e il fatto che, ancora in tanti, tanti versi ricordiamo delle poesie apprese allora, spesso anche ardue e importanti man mano che si cresceva d’età e dalle elementari si passava alle medie o alle “scuole d’avviamento professionale”, significa che non tutto della scuola di eri era da buttare, e che certe tradizioni potrebbero ancora, “aggiornate”, avere un senso, a scuola e nell’età adulta – di fronte alla prosa di tutti i giorni, e a quella, così “sgraziata”, degli scrittori e giornalisti più noti e aggressivi, e in assenza di poeti nostri amati dai grandi e tanto meno dai piccoli... © riproduzione riservata
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