mercoledì 1 luglio 2015
Emerge, da decenni di oblio, un nome: Federico Almansi, e l'emersione avviene a saldare debiti d'amicizia. I lettori di Umberto Saba ben conoscono quel nome, perché le ultime opere di Saba, Mediterranee (1946) ed Epigrafe (1948), sono intrise della presenza di Federico.Saba incontrò Federico, decenne figlio di Emanuele, libraio antiquario collega del poeta, a Padova, nel 1934. Una decina d'anni dopo Saba fu ripetutamente ospite degli Almansi a Milano, in via Andrea Doria 7, e tra il «vecchio» (62 anni) e il giovane si instaurò un rapporto complicato di affetto e ripulsa, da maestro e discepolo, da padre e figlio, con ombre che preferisco sorvolare. Saba fece pubblicare, con l'avallo di una sua prefazione, le Poesie di Federico da Fussi nel 1948 e si prodigò, invano, per far stampare due prose del ragazzo. Ma la schizofrenia annidata nella famiglia Almansi, che Emanuele aveva cercato di esorcizzare rinsanguando l'ereditarietà sposando Onorina, una sana pastora semianalfabeta, esplose ben presto, con ripetuti ricoveri di Federico in ospedali psichiatrici.Nel maggio 1952 Emanuele, assillato per la sorte che sarebbe toccata al figlio, gli sparò un colpo di pistola alla nuca, mentre dormiva, pensando poi di suicidarsi. La ferita, però, fu leggera, il figlio perdonò subito, inevitabile fu il processo che si concluse con la mite pena di tre anni, essendo chiare anche ai giudici le particolari circostanze del reato. Scontata la pena, un giudice di buon senso affidò a Emanuele la cura del figlio, scampandolo dal manicomio. Federico, però, era ormai mitemente fuori senno, abulico e disinteressato di tutto.Il cuore di Onorina scoppiò nel 1955. Emanuele e il figlio trovarono un singolare equilibrio ospitando una brava donna, Lelia, e il di lei marito Domenico, pure schizofrenico pacato che ogni tanto girava per i paesi in bicicletta cercando di vendere certe camicie dozzinali. Emanuele morì nel 1968, Lelia nel 1973. Federico, che era anche stato partigiano, si spense nel 1978.Tutto questo è benissimo raccontato da Emilio Jona, poeta e scrittore, cugino di Federico, nel romanzo Il celeste scolaro (Neri Pozza, pp. 224, euro 16), saldando così un primo debito di amicizia. Ed è un libro toccante e sabiano, tanto che Jona descrive Domenico come «un essere leggero e vagante», parafrasando il titolo che Saba scelse per la sua raccolta del 1920, Cose leggere e vaganti.Un altro amico di Federico, lo scrittore Sergio Ferrero (1926-2008), aveva saldato il suo debito citando Federico in Gli angeli di Cocteau, carteggio Saba-Ferrero ahimè postumo (Archinto). Ferrero consegnò la sua copia di Attesa, raccolta inedita di Federico Almansi (l'altra copia la possiede Jona), all'amico Francesco Rognoni, che ha pubblicato tutto Almansi: Attesa. Poesie edite e inedite (Sedizioni, pp. 152, euro 21), con una essenziale (non perché breve, ma perché tocca l'essenza) presentazione. Ed è il saldo del terzo debito di amicizia, verso Ferrero e verso Jona, per risalire a Federico.Condivido l'opinione di Alessandro Cinquegrani che in Solitudine di Umberto Saba (Marsilio) ha inquadrato il rapporto Saba-Almansi nei termini di Ulisse-Telemaco. Tre poesie a Telemaco, infatti, apparvero in Mediterranee, in una delle quali sono incastonati, in corsivo, quattro versi di Federico. Ulisse è il padre che si allontana nei suoi viaggi, come Saba che da Trieste si trasferisce a Roma dopo il passaggio milanese, segnato da affetti, gelosie e risentimenti.Quattro poesie di Federico Almansi furono incluse nell'importante antologia Quarta generazione, di Luciano Erba e Pietro Chiara, che uscì nel 1954 quando la tragedia del colpo di pistola in via Andrea Doria era già avvenuta. Adesso che, grazie a Francesco Rognoni, possiamo leggere tutto Federico, si potrà studiare e valorizzare la sua poesia per quello che è (per il molto che è) e – come chiedeva per sé Cesare Pavese – «non fate pettegolezzi».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI