martedì 1 ottobre 2013
Mi corre l'obbligo di mettere subito le carte in tavola. Se non lo facessi la serie di queste note, che dovrà protrarsi ahimè per tre mesi, risulterebbe un artificio, una divagazione vana. Avverto dunque che il mio personaggio - vale dire il supposto estensore dei verbali della procedura di cui qui si inizia a riferire - è un avanzato ottuagenario, prossimo agli 84 anni. E questa condizione, volere o volare, incide su ogni sua prospettiva: e su ogni sua testimonianza. È noioso? È noioso (per lui assai peggio). Ma insieme si tratta di notizie non prive di senso. Per chiunque: uno spicchio del mondo, sempre più grande, è fatto di vecchi; e bisogna saperlo per non vivere fuori dal mondo. In realtà, poi, l'arte assegnata ufficialmente ai vecchi, quella di morire, non è materia solo loro: con le sue ardue procedure, è materia di tutti. Specie dei cristiani, che dovrebbero cominciare a impararla fin da bambini. Perché l'arte di morire è l'altra faccia dell'arte di vivere, il suo buio pedale. Esercitarla significa capire che qui sulla terra la vita continua infinitamente a scorrere, splendida e terribile: splendida e terribile in ogni suo attimo; e ciascuno di noi, giovane o vecchio, cristiano o no, deve accettarne attimo per attimo, sino alla fine, la difficile scommessa: deve provarsi ad amarla.
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