martedì 13 settembre 2016
Dal vecchio prozio Guido ho ereditato il nome. Siamo prima della guerra sul Piave. Lui è ragazzo ma già, da solo, governa una centralina idroelettrica sul fiume Lambro, che raggiunge in bicicletta lungo una manciata di chilometri. Le diete alimentari, a quel tempo, non sono necessarie e i ladri, affamati, non conoscono la Belle époque. Ai malcapitati viene rubata la bicicletta, qualche soldo e poi legati a un pioppo, svestiti perché anche gli abiti mancano. Guido, meccanico eccellente, si è costruito una rivoltella. La sera in cui riscuote la mesata, come avrebbe detto il Goldoni, per strada viene assalito. Il signor Colt è già passato e l'ingegner Kalashnikov è di là da venire. Guido rimette l'arma in tasca e si lascia derubare. È durante la perquisizione che, oltre allo stipendio, gli rinvengono la pistola. «Guarda, 'sto brutto vigliacco che cos'ha in tasca» e, requisita l'arma, il ladro gli mollò un robusto manrovescio sulla faccia. Non venne né spogliato né legato. C'era stata, forse, una sotterranea solidarietà fra l'uno e gli altri. Considerò che un po' di morsi della fame sarebbero stati saziati. Non si rivolse alla forza pubblica, erano pesci piccoli, cioè quelli che riempiono le galere. Quella strada, di sera, la ripercorse molte volte ma, equanimi, loro non lo assalirono mai più.
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