venerdì 4 gennaio 2013
Atutti quelli che in questi giorni mi chiedono lumi sul futuro del calcio, quasi io fossi il Barbabianca - edizione sportiva del mitico Barbanera - rispondo che il nuovo risiede nell'antico “largo ai giovani”. Slogan abusato - direte - anche perché se ne sono appropriati mille demagoghi interessati, nel tempo, a sfruttare le giovani menti e i muscoli vibranti per il Potere e la Guerra. Me lo sono sentito dire tante volte, fin da quand'ero ragazzo, e i miei erano tempi bellissimi - parlo del Dopoguerra - in cui i giovani servivano a ricostruire il Bel Paese, in tutti i campi, e mi fu permesso di diventare giornalista a diciott'anni; così come Rivera poté indossare alla fine dei Cinquanta il grigio alessandrino, il rossonero milanista e infine l'azzurro quand'era poco più che adolescente. Lo slogan che non piace ai progressisti (che infatti hanno bocciato Renzi il rottamatore) fu attribuito al solito Mussolini, che in realtà aveva denunciato le culle vuote (proprio come Monti l'altro giorno) motivo di decadenza; mentre un solenne “largo ai giovani” fu indirizzato agli Italiani nell'agosto del 1936, dalle colonne di “Stato Operaio”, da Palmiro Togliatti (per l'occasione fasciocomunista). «Largo ai giovani – scriveva – nelle fabbriche, negli uffici, nelle scuole... e lavoro per tutti con pari salario... Largo ai giovani scrittori e artisti...»; poi, la perla che colgo settantasett'anni dopo: «Campi sportivi aperti gratuitamente a tutti i giovani! Abolizione dello sport industrializzato!». Era stato sicuramente influenzato, il Migliore, dalla clamorosa vittoria ottenuta pochi giorni prima all'Olimpiade di Berlino dalla ventenne bolognese (e cara amica perduta) Trebisonda Ondina Valla, primissima medaglia d'oro donna dello sport italiano ai Giochi, felicità tutta italiana davanti al Baffo Isterico. Ohibò: campi sportivi gratis... abbasso lo sport industrializzato... Mi sento molto combattente di una battaglia di retroguardia, conservatrice, inutile. Eppure è insistente il lamento ormai globale sul calcio televisivizzato ed è di questi giorni il divieto a Lorenzo Insigne di allenarsi sul campo amico (ex?) di Frattamaggiore. Malinconie dei giorni trascorsi nell'ozio fra la fine di una giornata di B strapiena di gol, trentasette, un record, l'illusoria esplosione del mercato e l'attesa ripresa del torneo maggiore con un Napoli-Roma “da scudetto”? No: il piano-giovani avanza e ritrova antichi segni di splendore. Leggo di Giancarlo Antognoni che raccomanda la Linea Verde e ricordo il suo esordio a Verona in maglia viola nell'ottobre del '72: aveva diciott'anni e fu cantato dall'immaginifico Vladimiro Caminiti i cui “oooh” pieni di stupore riecheggiavano nella tribuna del Bentegodi. E quante volte - fra noi... intenditori un po' passati - si fa blabla con memorie di esordi fantastici, io ho visto Baggino e Dieguito che avevano sedici anni, e tu? Ne parlavo con “Cina” Bonizzoni fin dai tempi in cui era l'attendente del generale Brera al “Guerin”. E proprio ieri ho risentito il mio primo istruttore di calciomercato, il grande Silvano Bini, classe '29, che da Empoli ha illuminato per decenni il calcio italiano. Nel '63, ahi ahi cinquant'anni fa, mi segnalò - per un premio del quotidiano “Stadio” sulle cui pagine scrivevo di Serie C - un diciottenne d'assalto che aveva acquistato dal Prato, Mario Bertini. Feci uno “sgub” eppoi lo vidi salire alla Fiorentina, all'Inter, alla mitica Nazionale di Messico '70. Scrissi “largo ai giovani”. E lui diventò “il Belva”.
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