martedì 8 maggio 2018
Ecco: per il settimo anno consecutivo sento e leggo tentativi di analisi del successo juventino, esercizio che in realtà mi tocca da una vita, almeno da quando mio padre mi spiegava i quattro scudetti consecutivi di Carcano, anni Trenta. Ma in verità il settimo sigillo in arrivo ha una sua più intima spiegazione. Quando vedo Andrea Agnelli esultare o irritarsi a seconda del risultato, mi torna alla mente il ragazzino che passeggiava vincitore con Giraudo e Moggi, improvvisamente condannato - con lacrime, immagino - a subire la sentenza di Calciopoli e la revoca di due titoli che aveva visto conquistare sul campo dalla bellissima Juve di Fabio Capello. Diventato adulto, eppoi presidente, ha assunto il ruolo del Conte di Montecristo, determinato e feroce nella ricerca di una sportivissima vendetta. Si è circondato di collaboratori e calciatori validi, per questo non ha mai interrotto la caccia ai trofei tricolori, sapendo lui perché, mentre noi - insieme a tanti tifosi bianconeri - si pensava che una Coppa Campioni valesse più di tanti scudetti. Per questo credo sia opportuno non tener più conto, nelle spesso ovvie polemiche contro la Signora Omicidi, del retaggio di un passato che aveva dato origine, insieme alla Grande Inter, alla sudditanza psicologica, nata nel 1967, dopo un Venezia-Inter arbitrato da Sbardella, dalla dotta protesta di un supertifoso veneziano casualmente designatore degli arbitri, Giorgio Bertotto. Uno che ci vedeva bene. Era oculista. Ricordo perché c'ero. E oggi posso dire - dopo averne viste tante, e di tutti i colori e con tanti impuniti in circolazione- che nel 2006 la Juve ha pagato un conto salatissimo. De Laurentiis non è d'accordo? Be', qualcosa doveva pur cedere, ai tifosi napoletani, dopo avere condannato la scelta di Sarri di «mollare» le Coppe - danno tecnico e economico - e la scelta di Spalletti di rinunciare a Icardi nel finale di Inter-Juve, piuttosto che incolpare Orsato della sconfitta nerazzurra. Poteva anche criticare, De Laurentiis, il crollo psicologico dei suoi giocatori (ammesso da Sarri) nel gran finale: lo farà in camera caritatis, quando dovrà decidere il futuro del suo allenatore. Da appassionato e cultore di calcio che ha lavorato con grandi maestri, ringrazio Maurizio Sarri per avermi fatto vedere qualcosa di nuovo e di bello fin dal giorno in cui dovette sostituire Milik con Mertens (dopo aver perduto anche Higuaín) in un ruolo chiave, con un colpo di coraggio e fantasia. È nato di lí a poco il Sarrismo (paragonato al Sacchismo da chi non ha conosciuto il pensiero e le opere di Arrigo) che ha stupito i borghesi, esaltato i cuori teneri, conquistato i tifosi napoletani senza tuttavia fare storia. È mancata, al grande e per certi versi innovatore lavoro di Sarri, la vittoria, esito indispensabile di ogni impresa calcistica. Come mancò - ricordo - al grande Gigi Maifredi quando gli fu offerto di trasferire i sogni bolognesi nella realtà juventina. In anni recenti abbiamo vissuto, magari criticato ma obiettivamente registrato, il Sacchismo e il Guardiolismo, rivoluzioni estetiche e vittoriose concepite in forza di pedatori eccellenti come Rijkaard, Gullit, Van Basten o Messi, Iniesta e Xavi. Ma si dimentica, spesso, il Mourinhismo, più pratico, più vicino a noi, catenacciari...perbene. Scrive Mura della generosità di Cuadrado e Mandžukic che si son fatti terzini per il bene della Juventus. Può darsi che Allegri, il Cinico Vincente, si sia ricordato di Sua Maestà Samuel Eto'o che per il Triplete si fece terzino. Dico al bel Napoli, e al suo Maestro, che a volte ci si appende a un sogno e si perde di vista la realtà. E lo scudetto.
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