giovedì 6 luglio 2017

Anche i cantautori possono subire ingiustizie. Pure a loro può capitare di voler rispondere con rabbia a chi magari non cerca più arte e profondità, nella musica. Soprattutto, ai cantautori può capitare di precipitare. Dalle vette delle hit parade al sottobosco dell'oblio. 2012, Fabio Concato ha deciso di cambiare tutto. L'ha deluso l'industria, l'ha umiliato Sanremo, non è più tempo di musica delicata, gentile, perbene. Bisogna gridare. E Concato, in effetti, grida. Ma in una maniera diversa, da quella che ora ci si aspetterebbe.


«Dove stai? Fatico per sentirti e parlare... Davvero tutto questo è ciò che vorrei per me? Dove sarai, non senti che ti chiamo?... Sei la parte buona di me: non posso farne senza». Il grido sale, le parole di un uomo che vuol ritrovare il meglio di sé. Concato ha colto il punto. Grida a L'altro di me di tornare, perché «Quando alzavo questa voce, convinto d'aver ragione, m'inaridivo». Per vivere, prima ancora che per fare il proprio mestiere, bisogna ritrovare la parte di noi che non urla, che sa il peso vero delle parole e delle cose. «Ti aspetterò», canta Concato. «Cambierà la prospettiva, cambiano i colori, ti dovrò ascoltare. ...Ne ho bisogno anche per cantare». Già: perché capita anche ai cantautori, di perdersi. Magari per ritrovarsi davvero, nella rivoluzione silenziosa di capirsi.

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