sabato 16 novembre 2019
L'acqua che inizia a scendere a gocce tra il muschio dei boschi, che si fa strada tra le rocce, che diventa torrente, fiume, mare. È il dono più grande che abbiamo ricevuto, è la vita. Noi siamo su questa terra a causa e per la fortuna dell'acqua, quella che andiamo a cercare negli altri mondi e che finora non abbiamo trovato. Libera per migliaia di anni di scendere a sua fantasia e di arrivare al mare, l'abbiamo costretta tra due rive a fare la strada che a noi era più interessante. Il mare la riceve dal cielo e dalla terra, indifferente alla quantità e alla velocità. Siamo noi che in questi ultimi due secoli abbiamo approfittato della sua ricchezza immaginando che non avesse regole sufficienti per combattere contro la nostra avidità. Abbiamo combattuto guerre nelle sue acque, vi abbiamo lasciato armi e resti di uomini per il nostro sogno di potere immaginando che tutto ciò che vi gettavamo nel tempo sarebbe stato distrutto. Lo scioglimento dei ghiacciai, l'innalzarsi del mare anche di pochi centimetri è il primo grido della natura contro l'uomo, quasi fosse un usurpatore delle sue leggi e della sua vita. Le nostre città hanno perduto il cielo azzurro di una volta, le stagioni hanno cambiato il loro tempo, i nostri boschi più belli sono caduti per la forza del vento. Oggi il mare invade la città più bella del mondo. E lo fa lentamente senza rumore quasi fosse suo diritto di entrare fra le nostre case, di seppellire i marmi delle strade e di prendere possesso della bellezza del Duomo di Venezia, come una vendetta silenziosa per avergli rubato l'isola nel tempo. La gente cerca di rimediare a ciò che l'acqua, un po' alla volta come un ladro gli ha portato via dai negozi, dalle cantine, dai pianoterra. Tante cose perdute, ma c'è il coraggio di riprendersi senza tanto gridare né piangere, con la pazienza delle ricamatrici di merletti che fino a pochi anni fa riempivano le vetrine nella piazza. Ricordo una sera d'estate quando un'orchestra suonava per i clienti di un grande bar che passavano delle ore sulle sedie di paglia solo per guardare le meraviglie del Duomo che chiudeva quella grande sala che è la piazza di Venezia. Si sentiva appena l'alito del mare, il grido dei gondolieri e il rumore dei rari motoscafi. Un altro mondo, certamente più modesto e povero dove le bellezze dalla nostra terra erano godute da pochi. I turisti di oggi hanno passato una parte del loro tempo fotografando il penetrare dell'acqua salata nelle bellezze del pavimento del duomo e davanti alle saracinesche chiuse di negozi devastati. Il coraggio dei veneziani farà dimenticare questa disavventura mentre speriamo che l'Italia, ricordi che la sua ricchezza e il suo valore non è dato solo dalle fabbriche, ma dallo splendore che la storia e gli uomini del tempo passato ci hanno lasciato in eredità e che noi siamo tenuti a mantenere.
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