giovedì 29 dicembre 2016
L'ossessione dell'uomo per la dominanza deriva dalla origine stessa del Dna animale. Incredibile forza che regola e alimenta la evoluzione e il rigenerarsi della natura. Il territorio viene conquistato dai giovani dominanti, che nella saggezza della natura prendono il posto dei vecchi leoni, con il loro portato ormonale fresco di fabbrica che permette al gruppo, alla specie, di proseguire in questo profondamente sconcertante e rituale avvicendarsi di migrazioni, lotte, accoppiamenti. Questo è la natura. Ma questo per l'uomo non è punto di arrivo. È punto di partenza. Retaggio istintuale che mentre da un lato compie perfettamente e mirabilmente il percorso della natura, non fa altrettanto per quello dell'umanità.
La storia, sia pur fatta in grande misura di dominazioni, lotte, guerre e di legge del più forte, dimostra il limite di questa visione. Compimento del destino animale forse, ma non umano. Se il destino dell'uomo ha un fine altro da quello di un leone del Serengeti, pure meraviglioso in tutte le sue manifestazioni, questo deve esistere in un luogo mentale e spirituale in grado di piegare e superare la visione di una lotta per il territorio affascinante quanto fatua.
La dimensione della dominanza si traduce nel mondo degli umani in tante altre forme che non la semplice, primordiale lotta per la sopravvivenza o la sopraffazione. La logica è la stessa. Nel confronto di idee e fedi si focalizza in maniera chiara. Gruppi consistenti di cosiddetti fedeli o militanti sono impegnati nello sfoggio e nello sfogo di dimostrazioni della propria superiorità, della dominanza appunto. Utilizzano ogni mezzo, piegato anche in maniera smaccatamente artificiosa, per avere la meglio sugli altri, nel tentativo di mostrare la superiorità del proprio credo. Ciò che sfugge in questa corsa al primato è che il proprio credo non si giova in alcun modo di queste lotte per il territorio, in nulla differenti da quelle di un gruppo di babbuini contro un altro per abbeverarsi alla pozza d'acqua residua. Il credo non necessita di questo meccanismo perché in sé è già partecipazione attiva alla storia, e la sua sola presenza nella vita è sufficiente a testimoniarlo. Chi necessita della affermazione propria invece sono l'egocentrismo e le manie di grandezza dell'uomo, il quale, anche utilizzando strumenti più sofisticati come le idee o le fedi, non fa altro che replicare continuamente il meccanismo primordiale della lotta evolutiva.
Per appagare una sete che non ha nulla a che vedere con la autenticità del proprio credo.
Il paragone con i leoni tra l'altro è anche troppo affascinante. In realtà tante discussioni sulla ortodossia, su chi è migliore e perché, con millantati quanto assurdi crediti sul mistero, somigliano molto più a pietose risse per l'ultimo parcheggio di un centro commerciale che a un confronto degno di teologi, intellettuali o politici.
La lotta per la dominanza prende anche forme mascherate, come tutte le pratiche di proselitismo, di sensibilizzazione delle masse, che solleticano gli istinti senza ottenere conversione, ma semplicemente adesione.
Non significa certo che non si debba mettere energia nella realizzazione di ciò in cui si crede, tutt'altro. Solo è necessaria la consapevolezza che questa energia non va rivolta al sottomettere o plagiare l'altro, ma alla propria intima relazione con il credo. Deve entrare in testa a quelli che pensano di dimostrare fedi politiche e religiose, che questo non è possibile. Ciò che crea una relazione vera con il significato è amore, non ragione. E questo è ancor più vero per le religioni. Non si può dimostrare una fede. Anche menti eccelse sono cadute in questa trappola della propria vanità. Il motore che porta a credere è identico all'innamorarsi. E la meraviglia dell'innamorarsi è che non si quantifica, non è dimostrabile, razionalizzabile. La meraviglia dell'innamorarsi sta proprio nella sua improbabilità, nella grande e forse unica caratteristica che differenzia l'uomo dalle specie animali e vegetali: la possibilità di liberarsi dall'istinto, meravigliosa forza che permette alla natura di procedere, tremenda catena che vincola l'uomo a un destino che non è il suo.
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