martedì 2 giugno 2015
Ieri sul “Fatto” (p. 13: «Al buio anche i ciechi guardano la Sindone») Fabrizio d'Esposito racconta con ironia leggera sottotraccia una visita alla Sindone. «Buio» e «ciechi e guardano»: evidente sottolineatura un pizzico umoristica. Nel pezzo ben scritto oltre a osservazioni sullo specifico dell'evento con i ciechi che «toccano la Sindone riprodotta in un modello d'argento», spunta un capoverso con titolino: «Agli inferi». Inizio didattico: «Il buio è l'unica condizione necessaria per sostare davanti alla teca…» e, poi, con altre notazioni: «Il buio richiama il mistero del Sabato Santo… Dopo la crocifissione del Venerdì Santo, e prima della Domenica di Pasqua. La Sindone è la fotografia della morte di Gesù, seguita dalla discesa agli inferi». A sorpresa qui segue una frase del cardinale Schoenborn: «Fra tutti i misteri della vita di Gesù il descensus ad inferos è il più enigmatico». Con questo seguito: «Non c'è resurrezione se non si scende nella dimora dei morti, lo Sheòl in ebraico, o l'Ade in greco». Poi fino al termine torna la cronaca della visita. Che dire? Che il «descensus ad inferos» non è del tutto «mistero enigmatico»: basta un po' di teologia, antica e anche moderna (Von Balthasar, Rahner, ecc.) e sai che così si esprime in sintesi la fede che la salvezza in Gesù Verbo eterno incarnato, morto e risorto raggiunge non «l'inferno», ma «gli inferi», cioè l'umanità vissuta nel tempo prima della reale Incarnazione del Verbo. Questa è fede che non solo «tutto è stato creato per mezzo» del Verbo eterno (Gv. 1, 3 e Col. 1, 16), ma anche che l'umanità di ogni tempo ha reale possibilità di salvezza «per mezzo» dello stesso Verbo che «si è fatto carne ed ha posto la sua tenda in mezzo a noi» (Gv. 1, 14). La Sindone “icona”, comunque, del mistero di salvezza universale.
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