venerdì 3 luglio 2015
La lettura del denso, breve, illuminante saggio di un giovane filosofo coreano che vive a Berlino, Han Byung-Chul (Nello sciame. Visioni del digitale, Nottetempo) può confermare chi diffida della voga di internet in tutte le sue forme, e dei telefonini polivalenti, insomma di tutte le applicazioni delle nuove tecnologie alla comunicazione tra gli esseri umani. La stessa parola "comunicazione" ha cambiato col tempo di significato e, da parte (importante) della vita di una persona, sembra esserne diventata quella fondamentale, totalizzante. Han vede lungo e mette in guardia, avendoci ragionato senza paraocchi da un punto di vista insieme orientale e occidentale. Guai a non comunicare! Se non si comunica ci si sente niente e nessuno, siamo condizionati a comunicare pena la nostra non-esistenza da un contesto che non abbiamo scelto, che ci è stato imposto dal "progresso". Ma che cosa comunichiamo? E come? E perché? Pochi se lo chiedono, mentre tanti si danno un gran daffare a dirci a colpi di slogan che se non comunichiamo non siamo. Il "progresso" ci ha dato cose importanti per "comunicare": la ruota, la stampa, l'automobile, il telegrafo e il telefono, la radio e la televisione e tutti i loro infiniti derivati. Ma ci si dimentica che prima di quelli ci fu, ab initio, la parola, il verbo, e di conseguenza la parola pensata che chiedeva, che informava, che nominava e che cantava, che ci permetteva di esprimere le nostre convinzioni e acquisizioni, i nostri bisogni e insieme la nostra reazione a quelli altrui. Ma, col tempo, dei mezzi di comunicazione della modernità si sono impadroniti imprenditori privati e pubblici (lo Stato) e la comunicazione è diventata a senso unico: ci sono loro che ci parlano, e ci stimolano in modi palesi o in modi occulti (I persuasori occulti di Vance Packard fu un bestseller degli anni cinquanta-sessanta e lo leggemmo in molti, ma presto dimenticandolo) a fare quello che loro volevano facessimo (a comprare, anche le idee). Nati per uno scopo, i "media" hanno finito per servirne un altro, la propaganda diretta e quella indiretta di un modello di vita e non la comunicazione. Ma il progresso divora sempre se stesso, non si ferma mai, ed ecco la grande invenzione recente: internet, il digitale. Non si comunica più dall'alto in basso, ci si dice, ma paritariamente, perché a ognuno è permesso di scrivere dire disegnare quel che gli pare. Uno sfogatoio universale, per il meglio (raro, e in genere pudico) e per il peggio (tantissimo, e sempre esplosivo) che ognuno si porta dentro: di ambizione, di frustrazione, di rivendicazione. Miliardi di narcisi "si esprimono", parlano e non ascoltano. È la truffa più grande del nostro tempo, dice con molta pazienza e con molta saggezza il nostro bravo giovane filosofo coreano-berlinese. E dice anche che i più gabbati di tutti sono i giovani.
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