martedì 26 febbraio 2019
A tre mesi dal voto per il Parlamento di Strasburgo, l'Unione Europea lancia qualche segnale di ...esistenza in vita. Quasi a voler smentire la narrazione sovranista di un pachiderma ormai sterile e ingovernabile, le istituzioni di Bruxelles e gli Stati membri si scuotono dal torpore, aprendo o spingendo avanti alcuni "dossier" di alto profilo, dal cui cui successo dipende in larga misura il destino comune.
Uno, importantissimo, ha registrato la settimana scorsa una tappa di grande rilievo: si tratta dell'Intelligenza Artificiale (in sigla internazionale AI), materia strategica come poche per le ricadute sulla crescita economica e sulla competitività globale. Per il suo sviluppo e il suo utilizzo, il 18 febbraio il Consiglio europeo ha dato via libera al "Piano coordinato" proposto in dicembre dalla Commissione, cui hanno aderito anche Norvegia e Svizzera. È un documento di tono tutt'altro che burocratico, ricco di spunti stimolanti e attento a "coprire" ogni aspetto della questione e ogni sua possibile ricaduta pratica.
Ne emerge anzitutto la consapevolezza che, sul terreno dell'intelligenza artificiale e delle nuove tecnologie digitali, non c'è la minima possibilità, per i singoli Paesi, di farsi valere da soli sulla scena mondiale, viste le risorse e l'aggressività con le quali Stati Uniti, Cina e Russia si stanno muovendo da tempo. L'obiettivo comune indicato è quello di un'AI "Made in Europe", dichiaratamente "antropocentrica": il che significa che al primo posto vanno messe le persone anziché le macchine, pur sviluppando al massimo i vantaggi delle nuove tecnologie nei settori della medicina, dei mutamenti climatici e della prevenzione di catastrofi naturali, senza dimenticare la sicurezza dei trasporti, la lotta alla criminalità e la cybersecurity.
I primi a muoversi dovranno essere gli Stati membri, adottando entro giugno di quest'anno adeguati piani nazionali (e stavolta sembra che anche l'Italia sia pronta a fare la sua parte, visto che il governo ha annunciato la messa a punto della nostra "strategia" entro fine marzo). Assieme al coordinamento serviranno poi adeguati finanziamenti, che l'Unione intende portare a livello comparabile con gli altri competitor mondiali: il traguardo è fissato a 20 miliardi di euro l'anno per i prossimi dieci anni (almeno uno dei quali a carico di Bruxelles), raggiungibile solo se si riuscirà a favorire una forte sinergia tra pubblico e privato.
Attenzione particolare è rivolta a due aspetti di forte valenza sociale e culturale. Il primo riguarda l'impatto delle nuove tecnologie ad alto contenuto di AI sul mercato del lavoro, soprattutto nei comparti dell'industria. Si confida nell'impegno della Commissione, in parte già avviato, per incentivare e diffondere l'innovazione digitale da parte di start-up e piccole e medie imprese, in modo da garantire nuovi sbocchi occupazionali al posto di quelli destinati a scomparire. Nello stesso tempo si punta a metodi di insegnamento e formazione adatti alla nuova realtà, per diffondere le competenze necessarie: già oggi si calcolano in 600mila i posti vacanti per addetti esperti nell'area digitale.
Il secondo aspetto rilevante si riferisce ai risvolti etici dell'intelligenza artificiale, per i quali di recente il Parlamento Europeo ha sollecitato il ricorso a un vero e proprio "codice". Si tratta di tutelare i cittadini da tecnologie potenzialmente molto invasive e di garantire trasparenza e comportamenti responsabili in chi le elabora e le utilizza. Il Piano "Made in Europe" si fa carico di queste esigenze e annuncia il prossimo varo di "orientamenti" condivisi, da proporre poi su scala globale. Una leadership morale per l'Europa, forse, è ancora possibile.
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