venerdì 2 luglio 2004
Avedere il modo con cui sono trattati i malati negli ospedali, si direbbe che gli uomini abbiano inventato questi tristi asili non per curare gli ammalati ma per sottrarli agli occhi delle persone felici perché non turbino le loro gioie. Chi faceva quest'amara considerazione viveva nel Settecento ed era lo scrittore moralista Nicolas de Chamfort, autore di una raccolta di Massime e pensieri. Tuttavia capita a tutti, anche nel 2004, di varcare la soglia di ospedali trasandati, dal funzionamento approssimativo, ove l'attenzione al malato è sbrigativa, nonostante i tanti discorsi sulle riforme della sanità. Ma quello che vorrei sottolineare nella frase di Chamfort riguarda un atteggiamento comune a tutti. E' indubbio che il malato sia "pesante": non si stanca mai di raccontarci i suoi malanni, è lamentoso, la sua situazione non genera certo allegria. E' per questo che noi sani siamo spesso tentati di fare come il sacerdote e il levita della parabola del Buon Samaritano: essi, vedendo il disgraziato ferito sui bordi della strada, «passarono oltre, dall'altra parte». Il guardare altrove e l'evitare ogni sofferenza ci protegge dal rischio di turbare la nostra tranquillità. Ho visto molte persone durante i servizi televisivi sulla fame nel mondo distogliere lo sguardo dallo schermo perché quelle creature deformi e rinsecchite facevano loro troppa impressione. Quante volte in quei "tristi asili" che sono le case di riposo per anziani accade che i vecchi genitori siano lasciati là per mesi e mesi senza che un figlio li visiti. Non si vuole sporcare la propria quiete e serenità. E' per questo che il profeta Isaia ammonisce a «non distogliere gli occhi da quelli della tua carne» (58, 7).
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