sabato 18 febbraio 2012
Un'ampia scalinata all'interno di un solenne palazzo dove è l'archivio storico Capitolino porta senza fatica al secondo piano. Questi scalini li facevano i cavalli, nonna? Non lo so caro, forse. Si dovrebbe cercare nella storia del palazzo, ma adesso andiamo a vedere questa mostra dei testamenti dei grandi italiani. Un modo originale che la fondazione del Notariato ha realizzato per il 150° dell'unità. Ti ho portato qui perché la storia che stai studiando a scuola ti diventi più reale, più vera leggendo queste pagine di uomini che hanno avuto gran parte nella storia del nostro Paese. Il testamento, vedi, è un atto di verità. Non avrebbe senso scrivere il falso quando si è vicini alla fine o quando si lasciano le proprie volontà anche molto tempo prima, ma sempre per chi resterà dopo di noi. Ecco, leggi. Sono 25 personaggi, noti per una specifica attività pubblica: politici, storici, scrittori, artisti, poeti e per questo noti anche attraverso l'arte, la musica, la genialità delle loro invenzioni che hanno cambiato la nostra vita. Ma qui le figure che tu vedi riprodotte accanto ai testamenti diventano più vicine a noi in questi atti dove aprono il loro animo, ci fanno sentire la loro umanità. Vivo diventa allora l'amore per chi lasciano, la riconoscenza per chi li ha aiutati, la preoccupazione di non lasciare soli i familiari che restano. È vero e ancora caldo sentimento di chi raccomanda i figli o la propria moglie ad amici, quasi il loro fosse la partenza per un viaggio e non una fine. Vedi le calligrafie di Pascoli, D'Annunzio, Cavour, Verga, papa Giovanni, Grazia Deledda, Giuseppe Verdi, De Gasperi. Vieni, leggi il testamento del tuo bisnonno Alcide. Egli lo aveva scritto molti anni prima della sua morte, prima di affrontare un'operazione, ma noi lo abbiamo letto solo dopo che ci aveva lasciato e niente era cambiato in tutto quel tempo. Avevamo allora la tua età e, pensando di affrontare la sua fine, egli scriveva così: «Se la provvidenza vorrà chiudere la mia vita terrena prima che io abbia risolto il mio compito di padre, affido alla suprema paternità di Dio le mie bambine e confido con assoluta certezza che il Signore ti aiuterà giorno per giorno a farle crescere buone e brave... Non posso lasciar loro mezzi di fortuna, perché alla fortuna ho dovuto rinunciare per tenere fede ai miei ideali. Fra poco saranno cresciute tanto da comprendere il mondo in cui vivono. Apprendano allora da te per quale ideale di umana bontà e di cristiana democrazia il loro padre combatté e sofferse. Leggendo le mie lettere d'un tempo e qualche appunto per le mie memorie, impareranno ad apprezzare la giustizia, la fratellanza cristiana e la libertà. Muoio con la coscienza d'aver combattuto la buona battaglia e colla sicurezza che un giorno i nostri ideali trionferanno. Cara Francesca, io ti sarò sempre vicino in spirito e ti aiuterò vigilando presso il Signore. Gesù, mia suprema ed ultima speranza, sarà anche il tuo confortatore quotidiano».
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