sabato 20 giugno 2020
La statua di Montanelli diluvia in pagina: «Processo» ("Il Fatto", 16/6 p.18). Sempre lì (19/6, p. 17): «Razzista? Non ha senso» e «Le statue non si abbattono: ci aiutano a capire il mondo». Ancora ieri "Foglio" (p. 2): «Altro che Montanelli: non esistono statue che non siano divisive o inadeguate». E qui lucido (18/6, p. 1 e 24): «Dibattito. Chiesa e immagini. Dove si va?». Nei fatti si va anche a una storia millenaria ricordando che l'iconoclastia lacerò le Chiese per secoli...
In realtà, il problema risale alle "Dieci Parole" del Patto mosaico nella formulazione biblica originale. Il secondo comando era il divieto delle immagini che poi per i contrasti con la pretesa di distruggerle tutte, nella tradizione successiva è stato cancellato anche dal Catechismo. Perciò per completare l'ultimo comando si è aggiunta la versione che includeva il divieto del desiderio violento – Epithumìa: così nel greco – della donna altrui.
Dunque il divieto della immagine di Dio è già all'origine, e la ragione biblica – decine di citazioni – è che nell'immagine creata dagli uomini essa diventa "Idolo", interlocutore muto cui si rivolgono le suppliche dei credenti. A Dio non si parla: lo si ascolta. Peggio poi se il Suo nome è usato per ingannare il prossimo, come diceva il testo del terzo comando: "Non servirti del nome di Dio con inganno". Qui il nucleo: "Shemàh Israel!". Dio si ascolta, non è idolo muto! È il ritornello: "Voi non avete visto una immagine. Avete udito una voce", e quella voce richiamava all'amore del prossimo, oggetto unico di tutti gli altri comandi. È l'essenza del Patto: "conoscere Dio", nella Torah, è fare giustizia al prossimo, che è "immagine somigliantissima" del Dio di Abramo e poi di Mosè. E così tutto si spiega? Sì! Il Giudizio finale (Mt. 25), ma anche il "Date a Cesare, e date a Dio!". Questione di statue? Di più, occasione per pensare.
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