mercoledì 1 ottobre 2014
Il modello, esplicito, è l'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters (1915) dove dalla tomba i defunti raccontano la loro storia; ma Dormono sulla collina, 1969-2014 di Giacomo Di Girolamo (Il Saggiatore, pp. 1272, euro 24) è diverso e di più.Repertoriare personaggi ed eventi degli ultimi 45 anni di storia italiana tecnicamente non è difficile, con gli archivi in rete di cui disponiamo, ma Di Girolamo ha il merito, innanzitutto, dell'idea di antologizzarli, e poi di averlo fatto con intelligente pietas, e con «equilibrio caotico», come scrive il prefatore Andrea Gentile attingendo da Pasolini, seppellito nel libro con le sue ambiguità.Questo librone, con un dorso fresato di 6 centimetri, è una bella rivincita sul web, di cui pure si nutre: perché l'informazione in rete è volatile, la si consulta e subito la si dimentica, mentre l'antologia cartacea rimane, fissa il tempo in un'istantanea precisa. Se non un punto fermo è almeno un buon punto e virgola di cui l'autore si assume la responsabilità.L'elenco è in ordine cronologico secondo la data di morte dei parlanti. Lo si può sfogliare, magari scegliendo i personaggi dall'indice dei nomi, oppure si possono seguire i Percorsi suggeriti dall'autore: Sorelle d'Italia (cioè le bombe degli attentati), Piazza Fontana e dintorni (il terrorismo è trattato con equanimità), Barcollando (i terremoti), Di mafia e antimafia, Amabili resti (le vittime di omicidi anche impuniti), Complotti e misteri, Anni (i settanta, gli ottanta eccetera), L'affaire Moro, Ossessioni, Navi capitani e marinai.C'è di tutto: la politica, la letteratura (bene Ungaretti, benissimo Montale, ma Quasimodo non c'è), la televisione (Maurizio Costanzo Show: «Un tasso di banalità che sbaraglia ogni concorrenza»), i cantanti, lo sport... A recensire un'antologia si finisce inevitabilmente per antologizzare. Mi limiterò a tre esempi: «Carlo Bo, critico letterario, 21 luglio 2001. E pensare che una volta la Liguria era la terra promessa di poeti e di artisti. Invece, quanta violenza... Mi ricordo una delle mie ultime interviste. Venne a trovarmi a Sestri Levante, nel mio studio pieno di libri, un giornalista. Era il luglio del 1992, qualche giorno prima era stato ucciso il giudice Borsellino, con tutta la sua scorta. Il giornalista aveva un'aria spaesata. "Ma ha senso parlare ancora di letteratura di fronte a tutta questa violenza?". "Certamente", risposi. In un mondo minacciato, la letteratura dovrebbe essere una guida, non un rifugio».Della voce dedicata al Partito comunista italiano, «una delle più nobili e tragiche illusioni della storia», riporto le ultime tre righe: «Che malinconia. Neanche il nome resta. Chiedi cos'era il piccì. La ragazzina bellina, con il suo sguardo garbato, gli occhiali e la vocina: "Personal computer", ti risponderà».«Andrea Barbato, giornalista, 12 febbraio 1996. Per i telespettatori che mi ricordano io sono "quello della cartolina". Era il mio appuntamento serale, su Rai Tre, dove, con toni pacati, dicevo la mia su quello che accadeva in Italia. Una delle ultime cartoline fu per Beppe Grillo. Era il 1992, e già lo ammonivo: "Lei, Grillo, centra bersagli molto ovvi. Non nego il valore libertario, ma davvero la furia contro i poteri e le arroganze possono essere sanate da un grido insultante? Questa è la strada maestra dell'illusione qualunquistica, dello sberleffo fine a sé stesso..."».Quando si ragiona su un'antologia, si sta a guardare chi c'è e chi non c'è, chi doveva esserci e chi andava tolto. Ognuno ha la propria antologia mentale, e chi la pubblica ha diritto di attenersi alla propria. Però Di Girolamo non doveva dimenticare la Callas...
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