martedì 15 gennaio 2019
Nella campagna per il voto europeo di fine maggio, ormai virtualmente aperta, di tutto avremo bisogno, per risvegliare l'interesse dei cittadini dei "27", meno che delle ormai stucchevoli e fin troppo ricorrenti polemiche su immigrazione sì/no, su euroburocrati ed eurofurbi, su eurorealisti e eurosognatori. A quarant'anni esatti dalle prime elezioni a suffragio universale diretto, si sente invece bisogno di un colpo d'ala, di una o più idee-forza nuove, capaci di ridare slancio e interesse a una competizione che può effettivamente segnare una svolta nella storia del nostro Continente.
La stessa minaccia "sovranista" che incombe sulla futura assemblea di Strasburgo, aldilà della sua reale consistenza (che alcuni recenti sondaggi mettono in dubbio), andrebbe a questo punto contrastata con qualcosa di più convincente ed efficace degli esorcismi e degli anatemi o delle pur fondate previsioni sui disastri che la disintegrazione dell'Unione potrebbe innescare. I proclami e i piani di rilancio della "casa comune" fin qui delineati, però, non sembrano in grado di suscitare ondate di rinnovato entusiasmo per l'ideale comunitario.
A cominciare dal più accreditato: il progetto congiunto Merkel-Macron presentato solennemente a Meseberg l'estate scorsa e rilanciato a novembre, in coincidenza con il centenario della fine della Grande Guerra. Non è tanto un problema di credibilità personale dei due leader, che pure ha il suo peso: perché la Cancelliera, dopo le dimissioni da numero uno della Cdu, sembra aver imboccato il viale del tramonto; e perché il presidente transalpino è alle prese da mesi con una rivolta di piazza che ha già fatto morti e danni in misura considerevole e che l'Eliseo non sembra in grado di domare.
Il fatto è che, al centro del nuovo "patto", aldilà di spunti suggestivi sulla Difesa e sull'esercito comuni, e un po' forse sul clima, figurano ancora e sempre obiettivi di natura economica e finanziaria, non certo in grado di infiammare i cuori di milioni di europei delusi o disinteressati. Perfino il lodevole intento di dar vita a un budget comune dell'Eurozona, già a partire dal 2021, è esposto con molti condizionali e soggetto a futuri negoziati fra Stati membri di difficile esito. Ma, soprattutto, il tono generale del documento appare preoccupato in primo luogo di rilanciare l'"asse renano", di esaltarne la centralità e il ruolo di locomotiva della Ue, al quale gli altri vagoni dovranno, volenti o nolenti, agganciarsi, se non vogliono finire ai margini dell'Europa di domani.
Non maggiore attenzione o considerazione sembrano destare i capifila degli schieramenti politici sovranazionali che si fronteggeranno durante la campagna elettorale. Si tratta dei cosiddetti spitzenkandidaten, designati in caso di vittoria a ricoprire la carica di presidente della Commissione esecutiva di Bruxelles. Ci si aspetterebbe da loro, vista la posta politica in gioco che non dà in partenza garanzie di successo a nessuno, un di più di attivismo e qualche spunto di originalità. Ma finora né il popolare tedesco Manfred Weber, né il socialdemocratico olandese Frans Timmermans, né il conservatore ceco Jan Zahradil sono riusciti ad attirare la curiosità dei media internazionali. Vedremo se qualcosa cambierà nei prossimi mesi.
Resta il fatto che cinque anni fa andarono a votare per l'Europarlamento poco più di due cittadini europei su cinque (per l'esattezza il 42,6 per cento). È vero che anche in precedenza, salvo l'exploit iniziale del 1979 (62 per cento) non si erano mai registrate affluenze da record. Ma se la percentuale del 2014 dovesse scendere ulteriormente, sarebbe la conferma di una sconfitta generale dalla quale sarà davvero difficile riprendersi.
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