sabato 26 aprile 2014
«Curare e prendersi cura» è il titolo del volume scritto da Franco Mandelli, pubblicato per le edizioni di Sperling & Kupfer giorni fa. Ho lavorato come volontaria di Croce Rossa per alcuni anni nella clinica diretta da questo grande personaggio, più padre che professore, verso i suoi malati. Nel mio reparto erano i bambini curati per le leucemie e, quasi per nostalgia sono ritornata a vedere quelle stanze dove le mura sono colorate, dove tutto può sembrare ai loro occhi un gioco. I medici hanno un sorriso anche quando devono comunicare una notizia triste. Un lavoro infaticabile di ricerca, una dedizione senza confine per vincere il male, per regalare con la propria esperienza e sacrificio anni di vita a chi fin dalla nascita non ha avuto fortuna. Oggi il «prof» come tutti ancora lo chiamano, dopo aver ricevuto per la sua attività scientifica numerosi premi e onorificenze in Italia e all'estero offre queste pagine di riflessione. Umanità e saggezza indicano, a chi vuole intraprendere la professione del medico una strada da seguire con leggerezza dove curare la malattia è soprattutto prendersi cura del malato che si ha di fronte. «Ho sempre creduto - scrive Mandelli - che il vero dottore fosse il medico condotto di un tempo che doveva occuparsi di tutto anche se non poteva sapere tutto, aiutato in questo rapporto d'amore con i propri pazienti. Ecco questo è il vero dottore, uomo di scienza, ma soprattutto di coscienza». Nell'ultimo capitolo dice ai giovani studenti: «se scegliete medicina fatelo per passione». Passione infatti non era altro che spingeva le giovani dottoresse ad arrivare presto al mattino, indossare il camice ed offrire la loro professionalità a quelle mamme che tenendo per mano il loro bambino avevano gli occhi pieni di timore. Quante volte le ho viste dimenticare se stesse per sorridere, per accarezzare, per regalare fiducia e restituire serenità a chi era entrato nel loro studio con paura. E quale gioia quando riuscivano ad abbracciare un loro piccolo paziente e dirgli: puoi andare, non ti voglio vedere più, che tradotto voleva dire, vai ti ho ridato la vita. Come è difficile veder soffrire i bambini, ma pare che questo nostro tempo sia fatto per loro di infinite occasioni di sofferenza. Quanti per colpa nostra perdono troppo presto l'innocenza, quanti si trovano in mano un'arma per combattere in una guerra voluta dagli adulti. Quanti innocenti trovano la morte nelle acque del nostro mare nella precipitosa fuga dal loro paese. E non si possono neppure guardare le immagini di quei piccoli portati sulle spalle stanche delle loro madri che camminano nelle terre desertiche dell'Africa in cerca di qualcosa che non è più libertà, ma fame, paura e povertà senza speranza. Pare che il mondo dell'infanzia debba pagare il riscatto per gli errori degli adulti, ma non sappiamo quando dalla Giustizia Infinita ci verrà chiesto cosa abbiamo fatto perché tanta sofferenza abbia fine.
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