giovedì 20 marzo 2014
Contrariamente a quello che si crede, cioè che là dove c'è una civiltà, ci sono le sue leggi, io penso che proprio loro siano il fondamento per individuare percorsi illeciti e devastanti a mansalva. Il vecchio adagio «fatta la legge, fatto l'inganno» potrebbe significare che, per ogni legge, gli inganni sbeffeggiatori possono essere infiniti e dunque un codice rappresenta galassie di modi per delinquere, raggirandolo. Questa è forse anarchia? Direi proprio di no, è che gli Stati vanno completamente ridisegnati. Troppi stipendifici e le più svariate forme di guadagno si sono costituiti sulla retorica della legge che, è ovvio, per sua storia non può essere che forzuta coi deboli ed evanescente con i labirintisti della norma. È a questo punto che, in forma simbolica e lievemente ironica, ho ideato il «tribunale della poesia». Esso ha due caratteristiche. La prima è che deve dare il suo responso in giornata. Seconda caratteristica: il ritorno ai tempi prima di Pericle. Giudicare un essere umano non deve comportare una retribuzione monetaria. Si fa gratuitamente ed a turno e per un tempo limitato. Allora non esisterebbero più i togati. Chissà se sanno che questo era il nome assegnato agli attori comici nel teatro della latinità.
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