sabato 23 maggio 2020
Simon del deserto del grande regista Luis Buñuel affronta (con la sua narrazione tipica e misteriosa, infittita di simbologie e cifre stilistiche spesso fuggenti) in un solo film, per giunta incompleto (la pellicola dura soltanto quarantacinque minuti) molti dei misteri della Fede, ed il suo rapporto con il tempo. Simon, uno stilita, ha deciso di dedicare l'intera sua esistenza nel deserto, alla contemplazione del Cielo, in cima dunque a una colonna terminante con una base talmente piccola da non contenere quasi il suo minuscolo corpo, piagato dalle deprivazioni, quando si coricava. A fargli visita quotidiana una varia umanità di sacerdoti, pastori, vedove, storpi. Ma anche spesso, il Demonio. Quasi sempre a rappresentarlo è una bellissima ragazza, che appare dapprima come una bambina che danza; poi seminuda, all'interno di una bara, come fosse morta e dove, risvegliatasi, tenta ancora il santo che la sbugiarda: la vediamo correre via e gridargli che tornerà, e sarà l'ultima volta. E in quell'ultima volta il Tentatore si trova in cima alla colonna, lecca l'orecchio del santo che prega mentre il cielo si trasforma, diventa rumore, si perde nel buio. Ci troviamo infine in una discoteca, tra balli sfrenati. Simon è vestito da intellettuale, la ragazza lo accompagna. Simon le chiede il nome del brano musicale. La ragazza le risponde "Carne radioattiva".
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