sabato 19 settembre 2020
La precisione nella pagina, l'imbarazzo nella voce. Esistono persone che sanno imprimere immagini meravigliose quando usano la penna, o – come nel suo caso – la macchina da scrivere. E suscitano invece tenerezza quando sono obbligati a parlare in pubblico. Ma i minuti televisivi che ho ritrovato di Italo Calvino oggi, a 35 anni dalla morte, sono densi di visioni esatte. Era il 1980 quando parlava alla telecamera: Calvino racconta di un futuro abitato da luoghi meticci, e tanti popoli diversi. Immaginava già allora città con i bambini costretti a fare lo slalom nel traffico bloccato, seguendo anziane governanti che li guidano nel caos a colpi di tamburo, o scuotendo nacchere. A un certo punto ha ricordato: «Io sono stato bambino molto a lungo...», per sottolineare una diversità orgogliosa. Alla fine, gli è stato chiesto cosa consigliasse per il tempo che sarebbe venuto dopo. Ci ha pensato un minuto lunghissimo, poi ha detto: «Imparare molte poesie a memoria, a tutte le età, perché tengono compagnia nella vecchiaia. Poi fare calcoli a penna, su un foglio, anche difficili: divisioni, estrazioni di radici quadrate. E combattere l'astrattezza delle parole». Ha guardato nel vuoto, in silenzio, per catturare il concetto più importante: «Infine sapere che tutto quello che abbiamo può esserci tolto in un attimo, e svanire in una nuvola di fumo».
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