sabato 15 maggio 2010
Aveva preso un giorno di vacanza dal lavoro per ritornare ancora una volta a vedere quella casa che aveva dovuto lasciare quando era giovane. Ora qualche capello bianco sulle tempie gli ricordava che una parte del suo tempo era passato e gli sembrò giusto ritornare un momento dove era stato felice. Trovò il cancello aperto e un assordante rumore di una sega che arrivata dal giardino. Qualcuno tagliava quei pini a ombrello che avevano coperto d'ombra i suoi giochi di bambino. Le loro braccia nodose sembravano gridare la propria nudità e chiedere una morte veloce piuttosto che subire quell'offesa alla propria dignità. Un uomo diede un segnale e i rami lunghi che avevano riempito l'aria di polvere gialla sotto la fioritura di primavera e di pigne al tempo d'autunno, ora cadevano con un fruscio potente, quasi una ribellione a uno strazio inaspettato. Forse si dava spazio a nuove costruzioni e di nuovo si toglieva un po' d'aria a chi abitava lì vicino. La casa aveva già gli occhi abbassati sulle serrande chiuse a non voler conoscere il proprio destino. Come è strana la vita che abbiamo scelto egli pensava: si lavora per costruire un rifugio, e quando finalmente si è pagato il mutuo, si sono saltati i debiti, gli si è dato un aspetto piacevole è quasi l'ora di andarsene e lasciare tutto ad altri più giovani che avranno un senso diverso della vita. Non è bene rivedere il passato quando si è portati solo a rimpiangere senza riconoscerne i lati positivi e metterlo a profitto come una esperienza. Ognuno ha la sua parte di tempo da usare, da promuovere, per migliorare questa umanità che ci cresce attorno, con la quale dividiamo un cammino comune. Quasi niente è davvero nostro, se non per un breve numero di anni, se non lo sentiamo anche un apporto al bene di tutti, se non consideriamo anche il nostro lavoro un passo avanti di cui potranno usufruire altri. Non importa se i mostri che il male ci suggerisce sembrano a volte stordire e vincere perché tutti abbiamo dentro di noi qualcosa di positivo da far crescere e da distribuire anche se non è sempre facile conservare la speranza e soprattutto mantenere alta la fiducia. Verrebbe voglia di chiudere gli occhi e non conoscere ciò che siamo capaci di inventare per togliere luce alla nostra vita. E davanti a quelle figure di Cristo che teniamo appeso sulla croce nelle nostre case, nelle scuole, negli uffici pubblici, quasi un portafortuna invece di un segnale di un impegno, gli si vorrebbe chiedere: ma cosa hai fatto? Perché tanta sofferenza, inimmaginabile, se non ce ne fosse qualche traccia su un telo. Perché? Per una umanità che sembra perversa, incoerente, disposta a ogni malvagità? Non lo sapevi prima e non lo avevi già visto? Non abbiamo risposta perché non conosciamo l'eternità, né cosa sia l'amore infinito quando tutto veniva affidato a dodici pescatori che non sapevano leggere, né scrivere. Il suo miracolo più grande.
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