martedì 17 febbraio 2004
Dal sublime al ridicolo non c'è che un passo! Ma poi la vita è così fatalmente seria, che non la si sopporterebbe senza questa unione del patetico con il comico. L'Agenda letteraria 2004, che Gianni Rizzoni ha approntato per l'editore Scheiwiller, è per me un appuntamento annuale sempre gradito in mezzo alle molte agende ben più sontuose che ricevo. Sì, perché in ogni settimana si scelgono due o tre date commemorative di autori e le si commentano con una loro citazione. Per oggi, 17 febbraio, data della morte a Parigi - nel 1856 - del grande scrittore tedesco Heinrich Heine, si è scelta la frase che anch'io propongo ai miei lettori e che è desunta dall'opera Idee. Il libro Legrand che non conosco. Il tema merita, comunque, una riflessione. Il confine tra il sublime e il ridicolo, tra il patetico e il comico è spesso molto labile e purtroppo non ce ne accorgiamo in tempo. Così, allargando con pomposa solennità la coda di pavone del nostro orgoglio, trascinati dall'empito dell'entusiasmo, non ci accorgiamo di precipitare dalla vetta della glorificazione alla valle del ridicolo. Ma c'è qualcosa di più che sottolinea Heine. La vita - egli osserva - non è mai monocorde o monocroma: patetico e comico coesistono quasi fossero stanze dello stesso palazzo.
Al giorno cupo e invernale subentra la mattina festosa e luminosa. L'impasto di colori così diversi è la vera sostanza dell'esistenza, ed è proprio in questo intreccio che si scopre il gusto del vivere. Bisogna, allora, saper condividere con uguale impegno sia il tempo delle lacrime sia quello del sorriso. Diceva un altro scrittore, l'americano Olivier Wendell Holmes: «La vita è come dipingere un quadro, non come tirare una somma».
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