martedì 29 ottobre 2013
Forse ho già detto che il mio rapporto con la natura è compromesso: colpa, più che della vecchiaia, di altre angustie croniche, che tendono a chiudermi nel mio guscio. Sicché ho poco profittato del bel tempo d'ottobre (quando ce n'è stato). Eppure ricordo che i vecchi, appena il sole diveniva blando, stavano a goderne anche gli ultimi raggi. Sì, in paese, appena fuori della porta di casa, accanto al granturco steso ad asciugare. Nel mio pedigree, per quanto ne so, mancano i contadini: ma ottobre per me è quelle distese di chicchi di granturco fulvo al sole, davanti alle case basse, sulla strada. Si trattava di provviste di famiglia, o poco più. In quello scorcio dell'anno, solo in quello, si faceva il pane di granturco: che era al suo meglio appena uscito dal forno - o comunque riscaldato. Lo si poteva mettere sulla brace del camino, riacceso ai primi freddi, insieme al lardo: «pane untinadu». Ma abbrustolivamo pure la pannocchia intera, quando i chicchi erano pallidi: piaceva ai bambini. L'autunno era questo: se solo una piccola parte ci parla davvero del tutto.Che cosa ne è rimasto? Niente. Non solo nella mia vita (poveri fatti miei) ma temo nella vita di tutti. Sono cose finite fra le mille che abbiamo sprecato, colposamente perduto. Perché la moneta cattiva scaccia la buona.
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