domenica 19 gennaio 2014
Giovanni Cesari è stato il mio primo maestro nella letteratura, autore di critica manzoniana, aveva pubblicato nelle edizioni BUR; era stato allievo di Donadoni a Bologna e compagno di corso di Cesco Baseggio, notissimo interprete goldoniano, all'Accademia d'arte drammatica in Roma. Figura centrale nella mia adolescenza, fu quasi un precettore: Leonardo e Jacopone, De Sanctis e Bach mi giunsero attraverso di lui e la sua sterminata cultura. Era un uomo che praticava le virtù evangeliche. Era mite e quasi stoico. Unico problema, non era credente ma soprattutto fermamente anticlericale. Passavo tutto il mio sabato pomeriggio a casa sua, fino all'ora di cena inoltrata, interrotti di tanto in tanto dalla sorella nubile che ci offriva del tè. Gli ero debitore di troppo; così decisi, per dimostrargli un minimo di gratitudine, di invitarlo a pranzo dai miei. Già, ma come la mettevamo con il suo anticlericalismo irrefrenabile? I miei si sarebbero spazientiti sicuramente. Gli feci fare delle promesse, poi affrontai quattro viaggi in pullman, due dei quali con lui, per poterlo così ospitare e rincasare. Mangiammo cibi del nostro pollaio e del nostro orto. Già all'inizio del pranzo mia madre, come sempre, ringraziò il Padreterno e si segnò. I primi dieci minuti filarono via lisci e saporosi. Ma all'improvviso il vecchio professore esplose: se la prese senza mezzi termini con Pio XII. Durò pochi secondi, poi mia madre intervenne: «Signor professore ho paura che, se lei va avanti a parlare così, ci crolli in testa il soffitto». La semplicità e la franchezza fecero il miracolo. S'instaurò una subitanea calma affettuosa e la cara amicizia per sempre durò.
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