martedì 25 settembre 2018
Per chi suonano – quando suonano – le campane d'Europa? Venerdì scorso, 21 settembre, proclamato dalle Nazioni Unite Giornata internazionale della pace, tra le 18 e le 18 e 15 le "squille" di tutto il Continente erano invitate ufficialmente a far sentire la loro voce, come segno di appartenenza a una comune tradizione culturale, che nella pace e nella solidarietà fra i popoli ha i suoi capisaldi. Qualcuno per caso ne era al corrente? L'iniziativa rientrava nell'ambito dell'Anno europeo del Patrimonio culturale, che si chiuderà tra poco in un clima distratto da ben altre questioni, immigrati in primis. Anche questo, da noi, chi lo sapeva?
Da parte governativa, in Italia è mancata totalmente l'informazione. Dopo uno scarno comunicato dei Beni Culturali del 28 maggio (quasi quattro mesi fa!), nessuno si è più fatto sentire. Non un annuncio, una sollecitazione, un pro memoria a ridosso del giorno indicato. Neppure si ha notizia di iniziative da parte di enti o associazioni pubbliche e private che, se messe in allarme, avrebbero potuto mobilitarsi. Un esempio a caso: l'Unione nazionale che associa 6.200 Pro Loco in tutta Italia, sarebbe stata in grado da sola di mettere in piedi un concerto sonoro imponente.
Non è facile trovare resoconti o testimonianze sufficienti a capire quanti "bronzi" – dall'alto dei campanili o delle torri civiche, nei cimiteri e nei cortili dei monasteri o nelle dimore private che ne ospitano – hanno effettivamente diffuso i loro suoni fra le rive del Baltico e Lampedusa. Quel che è certo è che, almeno al di qua delle Alpi, l'invito non è stato quasi per niente propagandato, nonostante le pressioni in tal senso dal Comitato Ue che promuove l'Anno del Patrimonio e di un pugno di europarlamentari, come Silvia Costa, in prima linea sui temi della cultura.
Al di fuori dei nostri confini, uno sguardo d'assieme registra uno scarso interesse nei Paesi latini e meridionali: sporadica partecipazione in Spagna, un po' di attenzione e di presenze in più in Francia (significativamente concentrate sulla linea di confine del Reno, che per secoli ha visto scorrere fiumi di sangue), nulla o quasi in Portogallo e Grecia. Molto più attiva e coinvolta, invece, l'Europa centrale e settentrionale. Il sito tedesco sharingheritage.de, per esempio ha lanciato a suo tempo una campagna internazionale ("Ringing bells across Europe") che ha raccolto alcune migliaia di adesioni, oltre che in Germania, nel Benelux, nei Paesi dell'ex blocco sovietico e in quelli nordici. Non pochi hanno perfino trasmesso "campioni" di suono della campana che si impegnavano ad attivare al momento richiesto.
Si dirà: pazienza, non sarà la fine del mondo se in mezza Unione pochi hanno potuto riflettere sull'implicito appello alla pace, alla solidarietà e alla comprensione fra i popoli, da sempre legato allo scampanio nei centri storici cittadini e nelle campagne. Non è così. La forza dei simboli e delle tradizioni, anche in un tempo dominato dai social media e da messaggi freddi e standardizzati, è un cemento in grado di toccare le coscienze e orientarle verso il bene.
Alcuni anni fa, il Centro televisivo vaticano realizzò un documentario dal titolo "Campane d'Europa", da un'idea del gesuita Germano Marani, che fu anche presentato al Sinodo sulla nuova evangelizzazione. Conteneva interviste originali a Papa Ratzinger e ai principali leader religiosi cristiani. La colonna sonora cuciva il suono dei campanili dai diversi angoli del continente con le musiche del compositore estone Arvo Pärt, che si disse ispirato proprio dagli scampanii ascoltati. Un suono che suggerisce, senza imporsi, pensieri di unità piuttosto che di divisione o conflitti. È l'eredità di un messaggio plurimillenario, quello cristiano, che una volta tanto anche le istituzioni europee avevano inteso rilanciare, pur tra cautele e considerazioni politicamente corrette. Peccato. Il silenzio delle campane è metafora di una civiltà che, dimenticando se stessa, rischia di decadere.
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