mercoledì 5 febbraio 2014
Fidia è giunto fino a noi per fama. Paradossalmente lo si può considerare «scultore orale» perché nessuna delle sue opere è stata conservata, e noi le conosciamo attraverso le testimonianze rilasciate da chi le aveva viste. Ne abbiamo solo notizie storiche, e anche le copie ellenistiche o romane che a Fidia si richiamano, non è detto che derivino davvero da originali fidiaci. Basti ricordare che i due imponenti Dioscuri che giganteggiano davanti al Quirinale, e che vediamo sovente inquadrati di sfuggita nei telegiornali, recano sul piedistallo “Opus Fidiae” l'uno, e “Opus Praxitelis” l'altro, ma si tratta di iscrizioni del 1589 quando Domenico Fontana diede ai colossi l'attuale collocazione: più che altro è un omaggio allegorico ai sommi maestri, perché i Dioscuri quirinalizi furono scolpiti solo nel II secolo d.C., mentre Fidia operò circa sei secoli prima.Certo, chi aveva visto le sculture di Fidia ne rimaneva folgorato, come accadde al generale romano Lucio Emilio Paolo, che nel 167 a. C. rimase così ammirato davanti allo Zeus di Olimpia, che la statua gli apparve come Giove in persona, e celebrò in suo onore un sacrificio grandioso.Un'affascinante, eruditissima incursione nell'intricatissima selva della critica e della bibliografia fidiana è stata compiuta da Massimiliano Papini, professore di Archeologia e Storia dell'arte greca e romana nella Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza Università di Roma, nel volume Fidia. L'uomo che scolpì gli dei (Laterza, pp. 276, euro 19), che unisce alla serietà accademica la brillantezza espositiva.Fidia (490-420 a.C.) ha legato il suo nome a quello di Pericle, da cui ebbe fiducia e amicizia, e operò, oltre che da scultore, da architetto e sovrintendente nel e del rinnovamento urbanistico ateniese, Partenone compreso, voluto dal grande stratega politico e militare, quasi suo coetaneo. Ma proprio riguardo al Partenone, Papini si domanda: «Fidia, dov'è?». Non risulta, infatti, che abbia partecipato in prima persona a scolpire i fregi e le metope che effondono intatta la loro aura nei saloni del British Museum di Londra: di Fidia, forse, è il progetto complessivo, e qualcuno ritiene di riconoscere la sua mano nelle sculture più raffinate; anche qui, però, la fama avvolge e travolge l'archeologia.Nessun privilegio per gli artisti, tuttavia, nella "democratica" Atene: Fidia fu accusato di essersi appropriato di una parte dell'oro destinato al rivestimento della Parthénos da lui scolpita per il Partenone; processato, morì in carcere. Altri, peraltro, sostengono che Fidia fu danneggiato per danneggiare, in realtà, il suo mentore e amico Pericle, accusato dagli oppositori di aver fornito il pretesto per la Guerra del Peloponneso. Ma atteniamoci ai capolavori fidiani. L'Atena Parténos era alta dodici metri; ancor più imponente la statua di Zeus a Olimpia, annoverata tra le sette meraviglie del mondo. Entrambi i colossi erano crisoelefantini, cioè d'oro e d'avorio. Ma che cosa avevano queste sculture di così particolare da renderle indimenticabili? Papini, seguendo Quintiliano (I secolo d.C.), spiega che Policleto fu insuperabile nel ritrarre e abbellire la forma umana senza restarle aderente in maniera pedissequa (decor supra verum), ma non seppe «esprimere compiutamente l'auctoritas degli dèi, pregio riconosciuto a Fidia, il migliore nel rappresentarli». Aveva colto nel segno il citato generale romano L. Emilio Paolo che esclamò: «È lo Zeus di Omero quello scolpito da Fidia». E Cicerone acutamente commentò: «Mentre plasmava Giove o Minerva, Fidia non aveva davanti agli occhi qualcosa da imitare, ma nella sua mente era insito un certo ideale di bellezza (species pulchritudinis eximia), alla cui somiglianza dirigeva l'arte e la mano, contemplandolo e fissandolo». Potremmo dunque definire «realismo mentale» il segreto di Fidia, che solo mentalmente ci è dato figurare.
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