Il proto-femminismo di “Domina” e Livia
domenica 16 maggio 2021
Livia Drusilla femminista ante litteram in lotta per il potere. Può essere questa, in estrema sintesi, l'idea che sta dietro alla nuova seria di Sky Original, Domina, incentrata sulla figura della nobildonna, terza moglie dell'imperatore Augusto, vissuta tra il 58 avanti Cristo e il 29 dopo Cristo segnando la vita politica della Roma dell'epoca. L'intento degli autori, come anticipava giustamente ieri su queste pagine Alessandra De Luca, è quello di raccontare una storia lontana attraverso gli occhi di una donna (quando le donne non avevano alcun ruolo se non quello di fare figli) per renderla rilevante nel dibattito attuale sull'emancipazione femminile e soprattutto sul diritto delle donne a partecipare e gestire le cosa pubblica. In effetti in Domina tutto questo è riscontrabile grazie anche a un linguaggio moderno non solo nel parlato, ma anche nel modo di affrontare temi come il divorzio, l'aborto e l'autodeterminazione. Ma nel dare spazio alla necessaria parte di spettacolo, la serie ideata e scritta da Simon Burke cede a sangue e sesso. «La prima regola del potere è la sopravvivenza», afferma Livia in apertura del primo degli otto episodi (tutti a disposizione su Sky Atlantic e Now per chi volesse farsi, o l'ha già fatta, una scorpacciata). Ma per sopravvivere bisogna uccidere. E lei, la prima volta, lo fa anche in modo particolarmente violento. Dopo di che i letti superano i campi di battaglia. Gli intrighi amorosi hanno spesso il sopravvento sulla politica o comunque la politica passa dagli intrighi amorosi e da tutto ciò che accade tra le mure domestiche. È il dazio che queste serie pagano appunto al bisogno di spettacolarizzare le storie. Per il resto, detto a margine, fa piacere vedere utilizzata ancora una volta come set di una grande produzione internazionale la Roma ricostruita a Cinecittà e nel cast tecnico, dai costumi alla scenografia, numerosi nomi italiani.
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