mercoledì 18 febbraio 2015
Per antonomasia chiamiamo mecenate (in minuscolo) un protettore e sostenitore delle arti e degli artisti, ma chi era l'originario Mecenate? Gaio Cilnio Mecenate fu un ascoltato consigliere di Augusto, oltre che amico e complice dell'imperatore. Era nato ad Arezzo da nobile famiglia etrusca nel 68 a. C.; ricchissimo, formò e animò un circolo di intellettuali del calibro di Virgilio (che gli dedicò le Georgiche), di Orazio (che con il suo patrocinio pubblicò la prima serie delle Odi), di Properzio e di altri minori.La fama di Mecenate è soprattutto postuma, appunto per antonomasia. I contemporanei hanno lasciato poche testimonianze su di lui, e anche i suoi protetti talvolta lo prendevano in giro. Tutt'altro che esemplare nella vita privata, Velleio Patercolo lo infilzò con questo epigramma: «Assolutamente vigile laddove la situazione necessitava attenzione, prudente e accorto nell'agire, ma non appena si presentava l'occasione di distogliersi dagli affari, pronto ad abbandonarsi all'inattività e alle mollezze più di una donna».Mecenate, che morirà a sessant'anni, fu anche autore di opere letterarie linguisticamente sofisticate, di cui ci sono rimasti pochissimi frammenti, ora raccolti da Stefano Costa con traduzione e originale a fronte, sotto il titolo Mecenate. Frammenti e testimonianze latine (La Vita Felice, pp. 296, euro 13,50). Sono soltanto sedici frammenti, ma postillati con tale erudizione filologica, che bastano a ricreare un mondo.Si prenda questo verso: «Ipsa enim altitudo attonat summa», l'altezza stessa fulmina i vertici. Nessuna traduzione può rendere la densità di significati di quelle cinque parole. Stefano Costa spiega: «È una frase gnomica tesa a illustrare, mediante la metafora del fulmine che colpisce la cima, il rischio per chi si trova in posizioni elevate di crollare vertiginosamente e all'improvviso; il rapporto causa/effetto tra altezza e rovina è reso con particolare immediatezza perché è la stessa altitudo a colpire (attonat) ciò che si trova in alto e l'immagine del fulmine è sottintesa nel verbo attonare». Ah, meravigliosa sintesi del nostro latino! Perché non è obbligatorio in ogni ordine di scuole? Rileggiamo, assaporiamo: «Ipsa enim altitudo attonat summa».Un altro esempio: «Inter sacra mouit aqua fraxinos», la sacra acqua scorre in mezzo ai frassini. Tradotto così, sembra banale, ma è la disposizione delle parole vincente in latino. L'“ipèrbato” è una figura retorica, ricalcata dal latino, per ottenere un effetto particolare allontanando parole che dovrebbero stare vicine, e mi piace ricordarlo in omaggio a Gilberto Finzi, il poeta che ci ha lasciati alla vigilia dello scorso Natale, il quale deplorava che i nuovi poeti non sapessero maneggiare neppure un ipèrbato. Nel verso di Mecenate, inter dovrebbe stare vicino a fraxinos, e sacra vicino a aqua, invece sono separate dal verbo mouit. Così il doppio ipèrbato, imperniato su mouit, viene a formare un chiasmo, che è l'incrocio di due coppie di parole secondo lo schema ABBA. Il chiasmo più celebre è l'incipit dell'Orlando furioso: «Le donne (A), i cavalier (B), l'arme (B), gli amori (A)». In traduzione letterale il verso latino diventerebbe: «In mezzo (A) la sacra (B) scorre (verbo/perno) acqua (B) ai frassini (A)». Non è un intelligentissimo gioco? Purtroppo le figure retoriche non si insegnano più e quindi la ricchezza della lingua resta enigmatica. Ma congediamoci con un verso iperbatico di Orazio rivolto a Mecenate: «Satis superque me benignitas tua ditavit», la tua generosità mi ha arricchito abbastanza e anche troppo. Anche noi usciamo arricchiti dalla lettura analitica di questi dimenticati frammenti.
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