venerdì 31 gennaio 2014
Gianni Zuccaro, pittore, ha vissuto a lungo nel secolo XX. Suo padre, Guido, è stato uno dei vetratisti del duomo di Milano. Anche Gianni era vetratista. Durante i bombardamenti del secondo conflitto mondiale, gli andarono a pezzi sia la casa che lo studio, allora, privo di tutto, andò a San Paolo del Brasile dove, per alcuni anni, eseguì tutte le vetrate vetero e neotestamentarie di una chiesa cattolica. Lo conobbi nei secondi anni Sessanta, tornato a Milano, e per me adolescente fu maestro di storia dell'arte ma anche di musica lirica, essendo lui anche violoncellista, nonché loggionista alla Scala. Diceva che, ogni giorno sorgendo il sole, le vetrate della sua chiesa, illuminata, incominciavano daccapo a raccontare l'intera vita del Nazareno, scandita dai capitoli dei quattro evangelisti che lui sentiva anche da qui. Lui fascistissimo aveva, senza alcuna reciproca difficoltà, sposato una giovane donna ebrea tedesca. Il suo bilocalino casa studio aveva una stufa così economica che, per tutto l'inverno, quando stavo da lui tenevo il cappotto, persino col bavero alzato. Tutt'intorno cartoni con studi di profeti o sacre famiglie, in un disordine da sembrare di essere in una chiesa bombardata il giorno prima. Riceveva i complimenti di Toscanini e Carrà, la stima di Sironi o del gallerista Barbaroux ma lui con il mercato non aveva a che fare. Caro vecchio intrattabile amico. Per fare la spesa, scovava gli sconti più impensabili e labirintici. Una sera, tutto sorridente, mi annuncia degli spezzatini buonissimi e molto convenienti. Non ho il coraggio di dirglielo, sulla confezione c'è illustrato un gatto che si sta leccando i baffi. Gli uomini liberi sono anche così.
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